Ma nel Belpaese, così degnamente (e giustamente!, poiché ogni popolo deve avere ciò che si merita) rappresentato da esponenti politici che non manifestano il minimo segno di pudore o di pentimento nei confronti di ogni gaglioffata che compiono (e a tal proposito l'episodio - vergognosissimo - dell'ambulanza costituisce l'ennesimo esempio dell'assoluta mancanza di responsabilità da parte dei "rappresentanti" dell'italica nonché virtuale "nazione"), ha ancora senso stilare classifiche per determinare quali siano le "scuole" migliori e quali le peggiori? Anzi: ha ancora senso parlare di Scuola (con la S maiuscola), considerati i livelli ai quali essa è pervenuta, lungo un cinquantennio che l'ha vista a ogni piè sospinto perdere (e con essa il corpo docente) credibilità, autorevolezza, prestigio e, ai tristissimi giorni nostri, anche i necessari finanziamenti per far sì che potesse essere non dico competitiva rispetto agli altri sistemi scolastici (quelli seri) europei, ma almeno dignitosa? Non starò a dilungarmi su questioni che, per quanto importanti siano, richiederebbero la stesura di un ponderoso e particolareggiato saggio (e non una semplice lettera) su ciò che è diventata la scuola italiana; tuttavia ritengo utile rimarcare che, da quanto si può vedere in giro, le scuole sembrano configurarsi più come dei grandi centri di accoglienza o dei centri sociali che dei luoghi dove si educano e formano i cosiddetti "cittadini di domani". E di conseguenza gli insegnanti si ritrovano a svolgere, più che altro, compiti più vicini a quelli dell'assistente sociale che a quelli del docente. Oggi ci si riempie la bocca di paroloni e concetti belli, forse, sulla carta, ma perfettamente inutili e spesso fuorvianti nella realtà: scuola della progettualità, alternanza scuola-lavoro, scuola del saper fare, scuola dell'impresa, scuola delle tre "I" (e a tal proposito, penso che ci si sia dimenticati di una quarta "I": quella di "Ignoranza" o "analfabetismo di ritorno" che dir si voglia) e chi più ne ha più ne metta! Poi, di tanto in tanto, da uno di quei periodici sondaggi fatti tra gli studenti di ogni ordine e grado (non esclusi quelli universitari), si scopre, puntualmente, che solo una sparuta minoranza di essi sa usare correttamente la lingua italiana, possiede un patrimonio lessicale superiore alle cento parole, sa chi era Enrico De Nicola, sa qual è la capitale del Portogallo e via dicendo. Naturalmente, ogni volta, parallelamente alle polemiche innescate da tali sondaggi, esce fuori l'illuminato pedagogo di turno che esterna il suo ponderoso pensiero sul cosiddetto "nozionismo" inutile e noioso che ormai potrebbe caratterizzare solo una scuola di stampo (ahimè!) "borbonico". Tutti parlano, pontificano, elucubrano, ma intanto il sistema scolastico PUBBLICO del Belpaese continua ad andare a pezzi, complici "politici" che di scuola non hanno mai saputo nulla, nulla sanno e nulla sapranno mai; "esperti" che vivono in un mondo tutto loro, ma non certamente in quello (reale) della scuola; personale scolastico di ogni ordine e grado sempre più umiliato (economicamente e socialmente), depresso, demotivato, frustrato, incazzato; "riforme" in cui di tutto si parla fuorché di buona, utile ed efficiente scuola pubblica, che fornisca agli alunni gli strumenti opportuni per affrontare, un domani, non solo il mondo del lavoro (di cui oggi si blatera fin troppo), ma anche la vita in generale. E allora, in una scuola dove lo spazio didattico viene sempre più ridotto a vantaggio di "progetti", iniziative "culturali", "sperimentazioni" che saranno pure accattivanti e piacevoli per gli studenti, ma che poco o nulla, alla fine, daranno loro; e allora, dicevo, in una siffatta scuola dove la bocciatura viene vista come uno strumento iniquo, classista, antidemocratico e non come un validissimo strumento di correzione di certe tendenze che alla fine potrebbero rivelarsi dannose per i famigerati "cittadini di domani"; in una scuola dove il rispetto delle più elementari norme della società civile viene sempre più considerato come un antidiluviano "retaggio borbonico"; in una scuola dove si pone al primo posto il concetto (del tutto estraneo a questo mondo e più in linea con il sistema delle imprese) di "produttività" (ovviamente del corpo docente) e non di qualità dell'insegnamento; in una siffatta scuola, insomma, me lo dite che senso ha parlare di sistemi scolastici migliori e peg giori? Tralascio la questione delicata dell' "edilizia scolastica" e dello stato dei singoli edifici scolastici, che per quanto importante sia non ritengo opportuno trattare in questa sede, giacché sto parlando di efficienza del sistema scolastico pubblico; il quale se oggi come oggi riesce ad andare avanti lo deve senz'altro allo spirito di sacrificio, alla dedizione, alla professionalità indiscutibile di tantissimi operatori del mondo dell'istruzione, non certo ai "politici" che si sono avvicendati sul "soglio" di Viale Trastevere in questi ultini tormentati sessant'anni. Chiedo scusa a quanti credono e sostengono (forse) che quella del Belpaese sia "la migliore delle scuole possibili", ma per quanto mi riguarda a essa preferisco di gran lunga quella "di stampo borbonico", dove sicuramente non c'erano quotidiani in classe, mirabolanti e lungimiranti progetti, alternanze scuole-lavoro, ma si insegnavano Italiano, Matematica, Lingue straniere ecc. ecc.; e dove, soprattutto, si preparavano i "cittadini di domani" ad affrontare il difficile agone della vita. E sì, perché allora la Scuola era veramente "palestra e maestra di vita", e non inseguiva gli studenti (pardon: "l'utenza") a suon di P. O. F., Pif (feri) e altre amenità del genere; che richiameranno pure frotte di "futuri cittadini", e li delizieranno pure con questa o quell'altra attività, ma non daranno loro niente di duraturo ed efficace, candidandoli, il più delle volte, al fallimento. Ma, ovviamente, ogni epoca ha i suoi miraggi. E quello della nostra consiste nel credere che vi siano ancora scuole di serie A e scuole di serie B, nonostante sia evidentissimo che ormai si gioca in Terza categoria. Scusate lo sfogo, ma a volte non è possibile frenare certi moti dell'animo. Gabriele Falco
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