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Centralismo
Caro Direttore,
Lei non perde occasione per denunciare i particolarismi italioti, gli interessi di quartiere e di pollaio che sbrandellano la società e che frantumano l’economia, ed esprime spesso la sua posizione centralista nell’amministrazione pubblica, come soluzione per i nostri mali. Poi, al contempo (e stavolta in modo sacrosanto!) irride (perché è meglio e più efficace ridere che piangere e strillare sguaiatamente) ai figuri che compongono la triste classe dirigente italiota, dai politicanti-burocrati agli industriali ai magistrati. Parassiti li chiama giustamente; e osserva che non si è mai visto in natura che un organismo parassita si auto-riduca. E infatti, è del tutto improbabile che l’Italia migliori, facendo tutto da sola e senza prendersi nemmeno il fastidio di un pizzico di seria autocritica. Centralismo o non centralismo. Non voglio sembrarle pessimista, perché in realtà non lo sono, anzi posseggo quella naturale predisposizione italiana, ancora più spiccata nei napoletani, all’ottimismo e alla fiducia nel futuro. E poi con mia moglie incinta, non potrei nemmeno permettermelo, il pessimismo. Però il mio non è un ottimismo sciocco, irresponsabile e sognatore, o peggio ancora nostalgico di qualche autoritarismo che rimetta a posto le cose. Peraltro, pur non essendo un fanatico delle idee nazionalistiche, concordo sul fatto che il concetto di “patria” aiuti molto, almeno in termini emotivo-sentimentali, a sbrogliare alcuni nodi apparentemente insolubili. Sì, ma quale patria? Quella voluta e fondata dall’eroico Garibaldi, di cui celebriamo proprio quest’anno il bicentenario della nascita (spendendo una marea di soldi pubblici)? O quella del fine intrallazzatore Cavour? O magari del repubblicano Mazzini, che aveva capito in anticipo, lui sì, che i Savoia ci avrebbero rovinato? Questo qua, mi spiace dirglielo, è uno di quei nodi che non si sciolgono invocando il concetto di patria sic et simpliciter.
La mala-unità fatta dai nostri “padri” non è (più) giustificabile dicendo “beh, intanto è stata fatta, non stiamo a sottilizzare”. Anche perché, ad una persona mediamente sensibile e casualmente ben informata, appare lampante che i maggiori problemi che sperimentiamo oggi (il parassitismo statale, la debolezza imprenditoriale, la divisione nord-sud, le mafie, la pressoché irrilevanza internazionale) hanno un seme comune, che si chiama Risorgimento. Risorgimento che nessuno si è mai azzardato a “revisionare”: piuttosto la resistenza... Caro Direttore, con tutta la stima che ogni volta Le esprimo, oso chiederLe: quale patria italiana? E sono certo che non mi prenderà per secessionista (non lo sono) quando ricordo, con il mio amato Franceschiello, che “le offese subite non dureranno in eterno”. Che ne dice, è ora che noi italioti diventiamo adulti e riscriviamo i libri di storia dell’Ottocento? Almeno per i nostri figli e nipoti...
Con stima,
Mario Bellotti Comitato Neoborbonico della Lombardia
RISPOSTA
Il mio “centralismo”, anzitutto, nasce dall’esperienza vissuta delle Regioni, una falla morale e materiale astronomica (e la Lombardia non è meno un covo di favoritismi della Campania).
Maurizio Blondet |