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Home arrow Storia arrow Storia del Regno arrow La dinastia: Francesco II

La dinastia: Francesco II PDF Stampa E-mail

Francesco II


Francesco II è l'ultimo Sovrano a regnare sulle Due Sicilie; è con lui che avviene l'invasione del Regno da parte prima dei garibaldini e poi dell'esercito sabaudo, e quindi l'annessione al neonato Regno d'Italia. Il tutto solo un anno dopo la morte di Ferdinando II, avvenuta quando questi aveva solo 48 anni, mentre Francesco si è trovato inaspettatamente sul Trono alla giovane giovane età di 23 anni.

Era infatti nato il 16 gennaio 1836 primogenito di Ferdinando II e della sua prima moglie Maria Cristina di Savoia che lo lascerà orfano di madre solo quindici giorni dopo la sua nascita.

Ferdinando gli scelse come moglie Maria Sofia di Baviera, figlia del Duca Massimiliano, sorella di Elisabetta, la moglie dell'Imperatore d'Austria Francesco Giuseppe.

Francesco II rispetta le volontà paterne chiamando al governo il vecchio Filangieri e dando pochissimo peso alle profferte di pace del Piemonte. La sua mitezza lo fa sopraffare in famiglia per l'invadenza della matrigna e dei fratellastri. Fedele ai consigli del genitore, il Re frena le richieste del suo Primo Ministro di concedere la Costituzione del '48.

Il suo buon rapporto con l'esercito è subdolamente minato dal traditore Nunziante, suo aiutante generale, e dalle ingerenze piemontesi che riescono a scompaginare le leali truppe svizzere premendo su Berna per porle in infinite difficoltà.

Mentre Garibaldi minaccia apertamente le terre del Papa, i liberali napoletani rialzano la cresta approfittando dell'incapacità del sovrano a stroncarli anche per l'appoggio sfrontatamente palese dello zio, conte di Siracusa.

La II guerra d'indipendenza tra gli alleati Francia e Piemonte contro l'Austria, riattizza la rivolta in Sicilia ove si riparla di liberazione da Napoli per mezzo di Torino.

1860

Il re sardo Vittorio Emanuele II e il suo degno primo ministro Cavour attuano sistematicamente una lercia politica di doppio gioco con Francesco II (cugino diretto del monarca sabaudo) pubblicamente rassicurando il giovane sovrano del loro appoggio e fraudolentemente mirando ad usurparne il trono.

Tale politica viene ovviamente perfezionata dal complice Napoleone III che si arroga sempre il diritto di consigliare l'inesperto Re di Napoli; per esempio suggerendogli di capeggiare un esercito per soccorrere il Pontefice a Roma , col malnascosto scopo di sguarnire le Due Sicilie e darle in facile pasto alla rivoluzione.
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Mentre Francesco II è praticamente inattivo e viene sempre più confuso dalla corte piena di traditori o prossimi a tradire, accade il preventivato sbarco dei Mille a Marsala con la lampante connivenza delle navi regie e di quelle britanniche.

Coi programmati tradimenti dei generali Landi e Lanza, Garibaldi vince la parvenza di resistenza napoletana a Calatafimi e prende Palermo in nome del Re di Sardegna mentre costui ancora proclama la sua amicizia con Francesco senza smentire il filibustiere! All'incertezza ora si aggiunge la paura ed ancora più facilmente il Re opera come vogliono i traditori interni ed esterni come Napoleone.

Così concede quanto il padre gli aveva espressamente proibito: la Costituzione e l'alleanza col Piemonte. Avversato aspramente dai congiunti (specialmente dallo zio conte d'Aquila illuso da Cavour per un'eventuale abdicazione a suo favore), l'ultimo dei Borbone resta come paralizzato mentre tutto si muove intorno a lui per esautorarlo definitivamente. Da Torino un flusso ininterrotto di uomini e di mezzi irrobustisce sensibilmente le orde di Garibaldi.

I Mille prevalgono in un altro pseudoscontro a Milazzo, soprattutto grazie ai tradimenti dell'armata di mare (cap. Anguissola) e dell'esercito di terra (gen. Clary) . A Napoli anche Nunziante esce tutto allo scoperto ed abbandona la patria in agonia rifugiandosi a Torino. Il nuovo ministro di polizia Liborio Romano, ampiamente compromesso colla camorra, lavora indefessamente per favorire il comodo prosieguo dell'impresa dei Mille il cui prossimo atto è lo sbarco nelle Calabrie.

Ma le truffaldine e quindi false vittorie di Garibaldi diventano eroiche e quindi autentiche per l'opinione pubblica internazionale alimentata specialmente da un prezzolato al seguito del nizzardo Alessandro Dumas, pieno di livore per la giusta carcerazione che suo padre (invasore repubblicano del? '99) subì ad opera di Ferdinando IV . La vile coerenza dei duci napoletani nei territori calabresi offre un'altra resistenza, appena avvertibile, ai Mille; l'avanzata veloce getta totalmente nel terrore il Re che decide di accogliere le mirate richieste di Romano ed abbandona la sua Napoli piena di uomini, armi e ricchezze.

Al Volturno viene conclamata una seria opposizione agli invasori per una certa epurazione effettuata nell'esercito napoletano .A Caiazzo vi sono i primi scontri veri dimostrando la percentuale di traditori in ribasso, ma pur sempre presente, ed appioppando una cocente disfatta ai garibaldesi rigettati nel fiume. Lo scontro importante avviene nella battaglia del 1° ottobre tra S. Maria e Maddaloni dopo aver posto il nemico nelle migliori condizioni possibili. Ciò nonostante le sorti favoriscono inizialmente i Regi e solo l'accurata corruzione (come a Morrone con Ruiz) dei residui traditori, volge la giornata in lievissimo vantaggio per i nemici di Napoli (avendo respinto i Nazionali attaccanti).

Mentre il Re è colpevolmente indeciso sul da farsi, in completa violazione del diritto internazionale, i Piemontesi varcano il Tronto senza alcuna dichiarazione di guerra. L'opera incisiva della diplomazia francese convince Francesco II, più delle armi sarde, a rinchiudersi in Gaeta in attesa praticamente di un miracolo, sfasciando quel che resta del suo esercito.


1861

Per circa tre mesi i Sardi assediano duramente la fortezza, con Garibaldi logicamente e cinicamente scomparso dalla scena perchè non più in copione.

La freddezza internazionale scuote alquanto Francesco, assai infervorato dalla fierissima Regina Maria Sofia, che riesce a resistere, in maniera unanimemente ritenuta eroica, alla preponderanza di mezzi e uomini assedianti. Il 13 febbraio nulla è più possibile e il vessillo bianco con lo stemma borbonico viene ammainato dalla rocca, seguito un mese dopo da quello della cittadella di Messina e il 20 marzo dall'ultimo della fortezza di Civitella del Tronto, entrambe parimenti assediate.

Francesco va a Roma in esilio, ospite del Papa, e rinnova i suoi imperdonabili errori con l'essere praticamente insensibile al grido di dolore che s'alza dal suo popolo stretto in catene che insorge compatto con mezzi di fortuna contro l'invasore che lo massacra. Tale epica lotta, che stolidamente è detta Brigantaggio, fa ardere il fuoco patriottico per circa un decennio.

Così scriveva, con sincera retorica, lo storico borbonico Giacinto De' Sivo a proposito della fine del regno: "La patria nostra era il sorriso del Signore. La Provvidenza la faceva abbondante e prospera, lieta e tranquilla, gaia e bella, aveva leggi sapienti, morigerati costumi e pienezza di vita, aveva esercito, flotta, strade, industrie, opifici, templi e regge meravigliose, aveva un sovrano nato napolitano e dal cuore napolitano. L'invidia, l'ateismo e l'ambizione congiurarono insieme per abbatterla e spogliarla".

Con l'unificazione italiana Napoli diventò, da capitale, una delle tante province del Regno d'Italia. Tra problemi antichi e nuovi (la guerra al "brigantaggio" si concluse solo dopo il 1870 e i bastimenti cominciavano a partire per le Americhe), la città doveva perdere i suoi antichi (circa sei secoli) privilegi di capitale. L'opera avviata sul finire del secolo dalla "Società pel Risanamento" (con i famosi "sventramenti" e la costruzione di edifici e strade come il Corso Umberto o la Galleria) cambiò anche il volto e l'identità della città stessa. Si afferma una nuova Napoli che spesso coincide con l'immagine stereotipata della Napoli attuale: si afferma, ad esempio, la Napoli delle canzoni e delle Piedigrotte, dei Di Giacomo e dei Ferdinando Russo, dei Caffè e dei teatri, delle pizzerie e dei ristoranti. Tutte caratteristiche che ancora oggi rendono famoso questo pezzo di terra tra il Vesuvio e il mare e che ancora oggi potrebbero essere adeguatamente valorizzate ed utilizzate nell'ambito di un'efficace gestione di un'economia realmente fondata sul turismo.

1870

Alla presa proditoria di Roma Francesco, primo emigrante, va a Parigi e poi in Austria ed ha la fierezza e la grandezza d'animo di non rinunciare mai al trono pur subendo la ritorsione dell'illegale confisca dei suoi beni privati e vivendo in difficoltà economiche come i suoi sudditi di un tempo costretti dalla bramosia settentrionale a cercare un tozzo di pane progressivamente in tutte le parti del mondo.

Finì i suoi giorni da primo emigrante meridionale il 27 dicembre del 1894 ad Arco di Trento dove si presentava come un semplice "signor Fabiani". Fu sepolto solo nel 1983 nella cappella della sua famiglia a Santa Chiara.

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