Capacità di attrarre gli investimenti per sviluppare la nostra economia
Da una recente statistica emerge che il peso degli investimenti diretti esteri (Ide) nella economia italiana non risulta essere particolarmente rilevante. Se analizziamo le percentuali, infatti, lo stock degli investimenti diretti in Italia rappresenta solo il 12,4% del Pil e l'afflusso annuo del 2005 (ultimi dati disponibili) pesava appena per il 5,9% del totale degli investimenti fissi realizzati in Italia; per fare un confronto con altre economie europee in Germania lo stock degli investimenti diretti rappresenta, per esempio, il 18% per cento del Pil, in Francia ben il 28,5%. Le ragioni che spingono ad investire all’estero risiedono generalmente nella possibilità di avvalersi dei vantaggi presenti nel paese di destinazione degli investimenti, nell'esistenza di un know-how più avanzato, nel più facile accesso al credito o alle materie prime fino ad arrivare ai vantaggi specifici relativi alla localizzazione. Le classifiche internazionali evidenziano da tempo che l'appeal dell’Italia ha pochi punti di forza ed invece molti punti deboli: bassa qualità delle infrastrutture, bassa spesa in ricerca e sviluppo, livello della tassazione elevato. Risultano, soprattutto, essere negativi alcuni fattori di contesto. I potenziali investitori esteri infatti hanno più volte lamentato, in particolar modo, l'esistenza della criminalità organizzata al Sud e la difficoltà nel recuperare un credito se l'azienda fallisce. Come risultato di queste debolezze - diremmo storiche - nel confronto con altre realtà internazionali la performance generale dell’Italia risulta essere piuttosto modesta: si colloca infatti nella fascia bassa per quanto riguarda la presenza di imprese straniere sul proprio territorio, superiore solo alla Grecia. Inoltre la quota degli Ide sullo stock mondiale è addirittura diminuita nel decennio 1990-2000 in assoluta controtendenza rispetto ai principali Paesi europei ed agli Stati Uniti ed attualmente gli ultimi dati indicano che questa quota è pari solo al 2,1% contro l'8,2% del Regno Unito, il 5,6% della Germania ed il 5,3% della Francia. Se poi si analizza la collocazione geografica di questi investimenti diretti esteri emerge che il Nord-Ovest ne ha assorbito il 64%, seguito dal Nord-Est al 18%, dal Centro 13%, mentre il Sud e le Isole assorbono solo il 5% di questi investimenti. In pratica l'Italia ed il Sud in particolare risultano collocati agli ultimi posti nelle classifiche internazionali. Tra i principali ostacoli da rimuovere non c'è solo il peso della pressione fiscale ma anche l'incertezza delle regole o la lentezza della giustizia civile. L'Italia è ritenuto purtroppo un paese costoso, che a fronte dei suoi alti costi offre pochissimo, viste le grandi diseconomie esterne. Dai dati summenzionati si evince chiaramente che le Due Sicilie attraggono una quota bassissima degli investimenti mondiali sia sul totale che in relazione al Nord Italia. Come si esce fuori da questa situazione che a livello italiano è deficitaria ma che lo è a maggior ragione all’interno della stessa nazione italiana? Serve una politica economica mirata esclusivamente alle esigenze del Sud; gli interessi del Centro Nord infatti sono ben diversi dai nostri come le statistiche interne, europee e mondiali testimoniano efficacemente. Per attuare una politica economica mirata ed esclusiva è necessaria un’ autonomia economica rispetto al resto d’Italia; non possono essere le poche zone franche che possono rappresentare la panacea per 147 anni di mancato sviluppo, non può essere il credito di imposta, non può essere il fondo di perequazione fra Regioni ricche (Nord) e quelle povere (Sud) come enunciato nelle bozze di legge sul federalismo fiscale che stanno circolando in questi giorni. Servono invece: 1) lotta alla criminalità poiché chi viene ad investire, anche sotto forma di turismo, deve farlo nella forma più sicura per il proprio investimento; 2) infrastrutture (strade, autostrade, porti, aeroporti) che siano specifiche del nostro territorio e che permettano in primo luogo veloci ed efficienti collegamenti fra le varie aree, collegamenti a loro volta verticali e trasversali ovvero nella direzione Nord-Sud (Abruzzo-Puglia e basso Lazio- Sicilia) e Ovest-Est (Tirreno-Adriatico); infrastrutture che a loro volta permettano alle Due Sicilie di essere la cerniera europea fra Nord Europa e Mediterraneo ovvero Africa-Medio Oriente; 3) burocrazia snella e lotta alla corruzione perché chi viene ad investire non abbia eccessivi problemi ma trovi nelle Due Sicilie un territorio sano e disponibile nei propri confronti; 4) (ultimo punto ma in effetti il primo per importanza) bassa fiscalità ovvero un’ imposta sulle Società non superiore al 20% degli utili per rendere le Due Sicilie appetibili sui mercati internazionali; ribadisco che zone franche e credito di imposta servono a ben poco. Solo con una bassa fiscalità riusciremo ad attrarre investimenti diretti esteri per sviluppare le nostre industrie e il turismo con l’impegno, a fronte di questa bassa fiscalità, di impiegare manodopera locale. Per raggiungere questi scopi partiamo dalla Macroregione Due Sicilie che rappresenta 20 milioni di abitanti (ovvero il sesto Paese dell’Unione Europea); chiediamo allo Stato Italiano autonomia economica e la possibilità, peraltro in qualche caso già prevista, di interloquire direttamente con gli altri Paesi in primo luogo europei senza tralasciare Stati Uniti, Giappone o la stessa Cina. Iniziamo a risolvere al nostro interno i problemi di cui ai punti 1) (lotta alla criminalità) e 3) (burocrazia snella e lotta alla corruzione). Fra l’altro i punti 1) e 3) dovrebbero essere delle priorità per qualsiasi Stato serio ma, a quanto pare, quello italiano non è dello stesso avviso. Anche il punto 4) dovrebbe essere attuato prima possibile perché è la chiave di apertura per il tanto atteso sviluppo. Questo possiamo farlo già da adesso. Come Duosiciliani smettiamola di fare polemiche, uniamoci in questa direzione con idee chiare su quello che vogliamo fare dopo 147 anni di attesa. Luca Longo |