Nasce nel 1840 tra Portici e S.Giovanni a Teduccio,precedendo di 57 anni la costruzione della Fiat, la più grande industria metalmeccanica d’Italia.
PRIMA FERROVIA ITALIANA Il tratto Napoli – Portici, lungo 8 km, fu inaugurato il 3 ottobre 1839 da un convoglio trainato dalla locomotiva Bayard, così chiamata in onore dell’ingegnere francese che realizzò la linea. Chi pensava che l’Italia o meglio il Sud dell’Italia di ‘quei tempi’ non fosse all’avanguardia dovrà o potrà ricredersi… Lunedì 22 novembre 1535 Carlo IV Re di Napoli reduce dall’impresa di Tunisi arrivò nella zona di Pietrarsa, allora chiamata Pietrabianca, ed ebbe ospitalità nella villa di Bernardino Martirano, segretario del Regno di Napoli. Questi, cinque anni prima, aveva fatto edificare la sua villa, in riva al mare, tra i casali di Portici e San Giovanni a Teduccio, nello stesso luogo dove due secoli più tardi fu costruita Villa Nava. Carlo IV era ospite lì in attesa che fossero ultimati i preparativi per accoglierlo nella sua visita alla Capitale. La sua permanenza durò tre giorni, durante i quali ricevette molti nobili Napoletani giunti a rendergli omaggio e ai quali egli concesse alcune grazie e privilegi, tra cui ci fu quello riconosciuto ai sangiorgesi e ai porticesi, ai quali fu permesso di portare la frutta secca a Napoli senza pagare dazi. Oggi, una lapide bianca è posta sul lato destro del portone di Villa Nava per ricordare tale evento. Essa originariamente fu posta sotto la finestra dove il Re si affacciò quando concesse il privilegio ai casali di San Giorgio e Portici. Sulla lapide furono scritte le seguenti parole: “Ospite anche se hai fretta, non essere scortese quando passi: venera questo edificio. Qui infatti Carlo V Imperatore Romano reduce dall’Africa sconfitta trascorse tre giorni nel grembo generoso di Leucopetra”. Il 16 dicembre del 1631 il Vesuvio riprese la sua attività eruttiva con una violenta esplosione. Questo parossismo fu uno dei più violenti della storia del vulcano, le colate di lave piroclastiche fecero avanzare la linea di costa nella zona di Pietrarsa. Subito dopo l’eruzione, le autorità del Regno predisposero la costruzione nella zona di Pietrabianca di un alveo per far defluire verso il mare le acque piovane che scendevano dal Vesuvio. Ma le successive controversie con i proprietari dei fondi interessati rimandò la costruzione al 1646 e nello stesso anno l’alveo entrò in funzione. In quell’epoca fu posto un crocifisso in legno sulla strada reggia nel punto in cui la stessa sovrastava il lagno; tale luogo fu chiamato “Croce del Lagno”. L’alveo nei periodi non piovosi era secco e molte persone lo usavano per recarsi in San Giorgio partendo dalla strada reggia; ma successivamente fu emesso un bando, notificando a suon di tromba, che vietava a chiunque di entrarvi. L’eruzione del 1694 deviò i corsi delle acque piovane provenienti dal Vesuvio ed il lagno diventò inutile; così la parte a monte di Sant’Aniello venne interrata, mentre la parte a valle diventò un ampia e comoda strada; così il decreto fu ritirato. Parecchi anni dopo, nel 1815, un gruppo di villeggianti di San Giorgio a Cremano decise di far lastricare la strada perché il terreno non era adatto per il passaggio di carri e calessi. I turisti non erano in grado di coprire l’intero ammontare dei capitali necessari all’opera, e poiché questa era considerata di grande utilità pubblica, intervennero anche i comuni di San Giorgio, Portici e Barra, che si unirono a finanziarla. Ad uno dei lati della strada vi fu anche costruito un canale per il deflusso delle acque bianche. Il re Ferdinando II di Borbone, sovrano del Regno delle Due Sicilie, a causa della dipendenza del suo regno dall’industria straniera, volle avviare un processo di industrializzazione e lo sviluppo delle strade ferrate ne fu uno degli aspetti più rilevanti. Proprio qui, nel Meridione, fu costruita la prima linea ferroviaria in Italia, la Napoli – Nocera – Castellammare il cui primo tratto (Napoli – Portici) fu inaugurato il 3 ottobre 1839. La locomotiva, chiamata “Vesuviana”, fu montata a Napoli ed era capace di raggiungere la velocità di 60 km/h. Il 6 novembre 1840, Ferdinando II emanò un decreto per l’acquisto di un suolo posto al confine fra Napoli e Portici (attuale Pietrarsa) sul quale impiantare un nuovo Opificio destinato alla costruzione di locomotive che entrò in funzione due anni dopo. Con l’apertura di questo opificio, il Regno delle Due Sicilie non ebbe più bisogno di acquistare locomotive all’estero. Nella stessa zona fu istituita anche una scuola per formare Ufficiali Macchinisti per le navi a vapore, sia per l’Armata di Mare che per la marina mercantile del Regno. Da ciò appare chiaro che il Regno delle Due Sicilie fu l’unico stato al mondo a non aver bisogno dei superpagati macchinisti inglesi sulle navi a vapore. Gli ingegneri napoletani, smontando alcune macchine a vapore, avevano scoperto ogni segreto del loro funzionamento. L’opifico di Pietrarsa ebbe un enorme sviluppo: prima dell’annessione del Regno delle Due Sicilie al Regno di Sardegna dava lavoro a mille persone con un indotto nelle numerose fabbriche di San Giovanni a Teduccio, anch’esse impegnate nella produzione di materiale ferroviario, dando lavoro ad altri settemila operai. Le prime sette locomotive costruite a Pietrarsa furono chiamate: Petrarca, Corvi, Robertson, Vesuvio, Maria Teresa, Etna, Partenope. Nel 1845 lo zar Nicola I di Russia su invito di Ferdinando II visita le officine, rimanendo molto colpito tanto da ordinare di rilevare la pianta dello stabilimento per riprodurlo nell’area industriale di Kronstadt. L’Opificio di Pietrarsa fu visitato anche da Papa Pio IX. Nel 1853 il Reale Opificio di Meccanico e Pirotecnico di Pietrarsa era ormai completo in tutti i suoi reparti di lavorazione ed in piena efficienza, tanto da divenire il primo nucleo industriale della penisola. In quegli anni nello stabilimento oltre che lavori per le ferrovie, si eseguivano opere pirotecniche per la guerra, macchine e strumenti per porti, cantieri ed arsenali, macchine a vapore per la Marina del Regno e anche, opere di notevole pregio artistico come statue e busti. Due candelabri fusi a Pietrarsa, tuttora illuminano lo scalone principale del Palazzo Reale di Napoli. La perdita dell’indipendenza delle Due Sicilie non tardò a far sentire i suoi effetti. Nel 1860, con la caduta del Regno Borbonico e con l'unitá d'Italia, Pietrarsa passò in gestione al governo Italiano. L'Opificio fu rilevato dalla ditta Bozza. La ditta Bozza ridusse le maestranze ed allungó l'orario di lavoro fino ad 11 ore giornaliere, licenziò molti operai i quali indissero uno sciopero. Bozza spaventato ottenne la rescissione del contratto, in seguito la gestione dell'Opificio passò alla società Nazionale di Industrie Meccaniche, la quale abbinò la produzione di Pietrarsa con quella dello stabilimento dei Granili. Il primo Gennaio 1878 lo Stato decise di gestire direttamente lo Stabilimento di Industrie Meccaniche di Pietrarsa e Granili affidandone la direzione all'Ing. Passarini. Durante la gestione Passarini furono costruite 110 locomotive, 845 carri, 280 vetture e varie caldaie. I rotabili costruiti a Pietrarsa furono utilizzati su tutta la rete italiana. Nel 1885 con le Convenzioni Ferroviarie, l'esercizio di tutta la rete nazionale fu dato in concessione a tre società: l'Adriatica, la Mediterranea e la Sicula. Con la gestione della Rete Mediterranea, Pietrarsa e Granili furono ristrutturate e dotate di nuovi mezzi. Le officine furono destinate alla "Grande Riparazione" e non piú alla costruzione del materiale rotabile. Lo Stato Italiano con la legge del 22 aprile 1905, assunse l'esercizio diretto di tutte le linee ferroviarie del territorio nazionale e, quindi, anche delle due officine napoletane. Pietrarsa continuò a provvedere alla Grande Riparazione delle locomotive a vapore, mentre Granili fu destinata alla riparazione dei veicoli e alla fusione di getti in ghisa e bronzo. Nei due stabilimenti furono operati dallo Stato interventi di ristrutturazione sia per gli edifici che per le attrezzature. Tali interventi consentirono alle officine di operare durante il II conflitto mondiale il massimo sforzo di produttività. Durante il periodo post-bellico la diffusione delle locomotive diesel ed elettriche determinò il declino delle locomotive a vapore ed inoltre anche le officine di Pietrarsa si avviarono ad rapido declino essendo destinate alla riparazione dei pochi rotabili a vapore rimasti in circolazione. Il 20 dicembre 1975, le Officine di Pietrarsa cessarono la loro attività. Quel giorno fu consegnata all'esercizio l'ultima locomotiva uscita dalla "Grande Riparazione" la 640.088. I padiglioni dell'ex Opificio Borbonico si resero disponibili come spazi espositivi di grande fascino architettonico per un museo a carattere nazionale sulla "civiltà della rotaia". Un progetto realizzato grazie all'Ente Ferrovie dello Stato con l'inaugurazione del Museo Nazionale Ferroviario di Pietrarsa avvenuta il 7 ottobre 1989. I lavori di restauro delle officine di Pietrarsa per adattarle ad una funzione espositiva sono stati condotti nel rispetto delle caratteristiche ambientali e stilistiche dell'antico Opificio borbonico. Consuelo Quattrocchi |