Mi chiedevo a cosa servisse tanta presenta mediatica del principe, Emanuele Filiberto, che dice di amare tanto l’Italia. Ne accennavo con De Christen. Era facile sospettare che si preparassero a qualcosa. E l’intervista pubblicata oggi su Libero ne è la conferma. Il principe si dice pronto ad impegnarsi per il Paese: “Se l’Italia che continuo ad amare profondamente avrà bisogno di me, potrà contarci”. Io, da buon meridionale consapevole dei misfatti risorgimentali dei savoiardi, conterei più su Belzebù, Tutti i Santi, sulle danze propiziatorie e persino su ... nulla… ma mai su un Savoia.
“Io – continua il principe – vorrei un’Italia in cui non si ha paura di uscire la sera”. Ecco: detto da un Savoia è quasi il massimo. Mi viene in mente, infatti, quello che il deputato siciliano Bruno, eletto nel parlamento unitario di Torino (e, perciò stesso, liberale e precedente estimatore di casa Savoia) dichiarò nella seduta del 4 aprile 1861 (atto n°53) a proposito dell’ordine pubblico post unitario, savoiardo, in Sicilia: <<La Sicilia sotto i Borboni offrì per molti anni l’edificante spettacolo che furti non ne succedevano assolutamente e si poteva passeggiare per tutte le strade, ed a tute le ore senza la menoma paura di essere aggrediti o derubati>>. Ecco: sotto i Borboni, perché, evidentemente, sotto i Savoia non era più così. …Vada a portare i suoi buoni propositi a qualcun altro: noi ne abbiamo d’avanzo di quelli dei suoi avi. E ancora, dice il Principe: “Io vorrei un’Italia in cui i giovani abbiano progetti lavorativi”. Beh, se sono del tipo di quelli che i suoi avi realizzarono qui, nel Regno delle Due Sicilie … come sopra, vada da qualcun altro. Noi ci stiamo ancora leccando le ferite per i … progetti fraterni dei suoi avi. Dopo l’unità le nostre fabbriche, che, a differenza di quelle del Regno di Sardegna, coprivano il fabbisogno interno e producevano per l’esportazione all’estero (non per nulla avevamo la IV flotta mercantile al mondo) chiusero ad una ad una (Ferdinandea, Mongiana, quelle del Polsinelli, quella di Egg, San Leucio, il bacino di raddobbo in muratura ecc ecc ecc ecc) e la stessa fine fecero le Società di navigazione, le tipografie, le cartiere e chiuse furono anche quelle in costruzione (le ferriere di Atina ecc ecc). Insomma: una deindustrializzazione selvaggia (della terza potenza industriale al mondo) che consentì la nascita del famoso Triangolo industriale (deindustrializzazione selvaggia? Oculata!) … e della questione meridionale. No grazie! Vada da qualcun altro E ancora (oh! Non ha limiti!?): “….un’Italia in cui gli anziani non siano lasciati in povertà”. Che cuore…! Peccato però che, mentre i Borbone (che avevano istituito il primo sistema pensionistico in Italia) concedevano la reversibilità anche alla prima figlia nubile, il governo unitario la tolse (e tolse anche delle pensioni). Ecco: mi sembra opportuno ricordarglielo, non si sa mai.
E, come in ogni proclama che si rispetti, il colpo ad effetto finale: “Penso che dobbiamo impegnarci per far nascere un nuovo Risorgimento”. Qui, quasi mi accoro: l’ironia non mi basta più. Un nuovo Risorgimento e per di più proposto da un Savoia!?!? A chi! Direbbe il Principe de Curtis. Da buon meridionale, scevro da pulsioni masochiste, non posso fare altro che gridare: Un nuovo risorgimento? No grazie, mi è d’avanzo il primo!
Ma poi rifletto: dovesse accadere (iattura delle iatture) che ci tolgono più? L’immondizia? La camorra? …A già!!! Abbiamo ancora gli occhi …(e il cervello per pensare). Al di là di tutto questo mi vengono due considerazioni per così dire … interne al movimento. 1) Se questo Signore può permettersi di dire queste cose rivolgendosi a tutti gli italiani, quindi anche a chi è figlio di quelle generazioni che patirono la fame, la miseria e la distruzione a seguito dell’unità, è perché la Verità, su quegli eventi, siamo ancora in pochi a conoscerla. Se fossimo di più, il principe, le cose che ha detto, avrebbe potuto raccontarle al massimo in qualche teatrino di periferia o, se esiste, su qualche tazebao tibetano ( per inciso: come politico minaccia bene: riesce a spacciare per meriti i più nefasti demeriti!). Per cui, se c’è ancora qualcuno disposto a credere che la revisione della storia risorgimentale sia ciarpame inutile, si accomodi pure: i Savoia ringraziano. Se possono presentarsi sulla scena politica italiana criticandoci e vestendo i panni dei paladini della giustizia e – abominio! – proporre anche a noi del Sud un nuovo risorgimento, è perché la gran parte degli italiani ignorano le nefandezze commesse ai danni del Sud prima, durante e dopo l’unità. 2) Se costoro, in un modo o nell’altro, la dovessero spuntare, l’Ascom (tanto per fare un esempio, forse non calzante per questa associazione) non finanzierebbe più la commemorazione di Maria Sofia di Borbone e l’eroica resistenza della Piazza di Gaeta, ma la commemorazione del suo bombardamento e la fuga a Roma del Re e della Sua consorte. Per cui: al di là delle piccolezze che ci possono separare, è d’obbligo serrare le fila.
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