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Savone delle Ferriere PDF Stampa E-mail

La storia, quella vera, viene fatta dimenticare anche grazie all’oblio in cui si lasciano cadere le opere maestose che sono servite per scriverla.

È quello che viene in mente osservando il complesso delle Ferriere poste lungo il corso del fiume Savone (Savone delle Ferriere, appunto) in prossimità di Teano (un secondo complesso, sebbene più piccolo, è presente, lungo lo stesso fiume, circa un chilometro più a monte).

Non conosco quelle di Mongiana, Ferdinandea e Stilo, ma queste, per come si presentano, danno un colpo d’occhio mozzafiato e … tanta amarezza.

Si tratta di edifici che, in alcuni punti, sono quasi completamente sepolti dalla vegetazione . Non avevo con me un metro ma così, ad occhio, si tratta di strutture mastodontiche e, se si pensa che sono state costruite nella prima metà del 1800 e sono in stato d’abbandono dalla seconda metà di esso, ritrovarsele davanti così, enormi, eppure ben conservate in alcuni tratti, dà l’idea della capacità costruttiva degli ingegneri dell’epoca e della saggia volontà politica che volle fossero erette.

Provo a fare un breve resoconto dell’escursione fatta questa mattina.

(Per vedere le immagini vai in "GALLERIA IMMAGINI")

Abbandonata la strada provinciale Teano – Roccamonfina, si scende lungo una sorta di stradone che sulla destra è protetto da un parapetto in pietra locale. Esso scende lungo una scarpata sulla riva destra del Savone (foto 1).  Dopo qualche centinaio di metri ci si trova di fronte un primo complesso in tufo grigio. Siamo sulla riva destra. È quasi completamente nascosto dalle piante (foto 2 e 2 bis) ma si intravedono locali posti a piano terra cui danno accesso larghi portoni alti almeno 3 metri. L’edificio è alto e non mi azzardo a stimarne l’altezza. Esso, con il suo lato Nord, finisce all’altezza di un largo ponte che attraversa il fiume (foto 3 e 3 bis). Lo stradone si continua lungo la riva sinistra (foto 4) sempre con una morbida pendenza. Percorsi circa cento metri, svoltato un leggero angolo del muro in tufo che contiene la scarpata della riva sinistra, si intravede un accesso chiuso da un portone in parte ancora in loco (foto 5). Il muro di cinta doveva essere ben robusto: esso ha retto le ingiurie del tempo (e forse anche quelle dell’uomo), i terremoti e … anche il peso di una grossa robinia poggiata direttamente su di esso (foto 6) !!!

A sinistra dell’entrata c’è una sorta di guardiola costituita da due, tre piccoli locali posti su due piani (foto 7). Il tetto, e molti solai, è crollato (foto 8 e 9). Proseguendo si osservano, sulla destra, dei grossi finestroni rettangolari (foto 10, ripresa al ritorno, con l’apertura a sinistra dell’osservatore). Essi si aprono, quasi a strapiombo, sul fiume sottostante (foto 11). Questa sorta di cortile interno termina con un grosso vano d’accesso probabilmente, all’epoca, chiuso da un portone (foto 12).

E qui, sulla sinistra è un susseguirsi di ambienti (foto 13) molto vasti (larghi e lunghi) il cui soffitto doveva essere posizionato bene in alto, come suggerito da una sorta di “tralicci” cui sono rimasti

appesi pezzi di legno da me non meglio identificati (foto 13 bis). Sulle pareti di alcuni locali più piccoli si osservano radici variamente intrecciate che sembrano voler mantenere in piedi il muro stesso (foto 14). I soffitti sono crollati quasi dappertutto e dappertutto si osservano frammenti di essi che penzolano pericolosamente sulla testa del visitatore: sono questi frammenti a sconsigliare, vivamente, di proseguire nell’esplorazione (foto 15). Il pavimento crollato di un altro ambiente, lascia intravedere, circa 4-5 metri più in basso, altri ambienti l’accesso ai quali non è stato possibile scoprire. Dalla base di uno di questi ambienti, rivelato grazie alla mancanza di un pavimento, e fino alla sommità della parte più alta della costruzione, correranno una quindicina di metri ed oltre (foto 16). Tornando indietro si nota, appena fuori del portone di accesso, una rampa che si inerpica, sulla scarpata della riva sinistra, lungo il muro che la contiene: è talmente coperta di vegetazione (quasi dappertutto, nel complesso, si osservano muschi, licheni, epatiche, felci, liane, rovi, ortiche, ecc ecc) che non è possibile percorrerla. Ritornando sul ponte si osserva che esso, nella direzione di provenienza del fiume, presenta un muro alto circa due metri (foto 17): alla base di esso si apre un pertugio triangolare (foto 18) che dà accesso ad una stretta rampa in discesa.

Alla fine del ponte, proseguendo a sinistra si ritorna sullo stradone di accesso al complesso ma verso monte si scopre uno sbarramento trasversale al fiume (foto 19). Scendendo sul greto fatto di roccia lavica umida e scivolosa, si nota, in questo sbarramento, una apertura ad arco dalla quale l’acqua si riversa a valle, verso il ponte.

L’erosione presente lungo la riva destra, a valle dello sbarramento, svela che, quando il fiume è in piena, l’acqua trabocca (almeno oggi) dallo sommità di esso. Dal centro del fiume si osserva benissimo l’arcata del ponte (foto 19 bis) alto almeno 5 metri sul livello delle rocce nella sua parte centrale. Le basi di esso poggiano direttamente sulla roccia …e ancora lì sono, perfettamente conservate come ben conservati sono gli angoli … “smussati”  (che finezza! Almeno per me che, non essendo ingegnere, non riesco ad immaginarne altra funzione se non quella estetica!) presenti là dove il ponte si congiunge con i muri di contenimento a destra e a sinistra del fiume. Il ponte poggia direttamente sulla roccia lavica, ed intatti è ancora lì (foto 20 e 21): ma non erano stati previsti i piemontesi e quindi il complesso dovette chiudere poco dopo il 1860!

Non ho visto …  forni.

Nel complesso a monte di questo, i forni (se tali sono quelli da me visti) sono ben evidenti. In somma: la struttura, il complesso, merita ben altra considerazione e

conservazione. Il guaio, però, se così si può dire, è che, portandolo alla luce, si porta a conoscenza di tutti una pagina di storia, e con essa una Storia, che si voleva fosse dimenticata, perché diversa da quella falsa che ci hanno propinato ed inculcato ma che risultava funzionale agli interessi della parte vincitrice. Mi tornano alla mente le parole di Rosario Villari :<< … la stessa industria centro

settentrionale, sorta su queste basi parassitarie e malsane, non aveva capacità di espansione ed  aveva come condizione permanente di vita l’inferiorità del Mezzogiorno …>> … inferiorità costruita, innanzitutto, grazie all’azzeramento del suo ricco apparato produttivo. Fiorentino Bevilacqua

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