Uno zio di mio padre, nato nel 1880, soleva spesso cantare una canzoncina che, sul motivo della fanfara dei bersaglieri, dileggiava Garibaldi. <ggiut’a guerra…>> ecc ecc.
Ohibò! Ma come era possibile!? Garibaldi era, per me come per moltissimi altri, un eroe, per giunta di Due Mondi! E poi: non era mio zio (così io lo consideravo) figlio di un’epoca quasi vittoriana, un’epoca rispettosa in cui le Autorità, i protagonisti della vita politica, gli uomini dello Stato, persino i più semplici funzionari meritavano rispetto, considerazione e stima a prescindere da ogni loro azione e solo per il fatto di essere tali? Come era possibile, dunque, che un ragazzino dell’’88 dell’altro secolo ancora avesse imparato una simile cantata denigratoria e di cotanto eroe per giunta? E poi: la cantata era un doppio dileggio se si considera che essa era intonata sul motivo della fanfara dei bersaglieri … che ci avevano liberato dai briganti….
La cosa mi risultava incomprensibile.
Già, ma i bersaglieri, appresi poi, erano quelli di Cialdini e chi li aveva mandati si vantava, in francese, di non essere mai sceso a sud di Firenze ( e si fosse limitato solo a questo ...!).
Ah, ecco! Allora capii.
Era una cantata liberatoria, brigantesca se vogliamo, gloriosamente brigantesca, insegnata al figlio da un padre che sapeva come erano andate le cose. Forse il nonno stesso dello zio, vissuto a cavallo degli anni fatidici della cosiddetta unità e che, perciò, aveva vissuto il prima e ora subiva il dopo, cantava questa canzone mentre narrava al nipote che suo figlio, un giorno, era tornato a casa raccontando che alcuni uomini, a cavallo e col cappello a punta, mentre si aggirava nei boschi lo avevano fermato e, vistolo malmesso, gli avevano regalato qualche soldo prima di proseguire nella corsa che li portò a dileguarsi tra gli alberi in tutta fretta.
Sì, il mio trisavolo, il mio bisavolo: ma quella canzone la conosce tutto il Sud, e non può avergliela insegnata il mio bisnonno.
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