1860 - La rivolta di Bronte Alla notizia dell'avanzata di Garibaldi, i contadini di Bronte insorsero contro i padroni delle terre. La rivolta faceva seguito ai decreti emanati da Garibaldi che promettevano lo smantellamento dei latifondi e la spartizione delle terre. I contadini insorsero il 2 agosto, commettendo violenze fisiche nei confronti dei notabili del paese, saccheggiando e bruciandone le case. La loro aspirazione di giustizia sociale sfociò pertanto in un orrendo massacro cui seguì un altrettanto orrendo giudizio sommario, favorito dall'atteggiamento tenuto da Nino Bixio che era stato inviato da Garibaldi a sedare la rivolta onde evitare di compromettere i rapporti con il governo inglese in loco rappresentato dagli eredi di Nelson. Bixio, circondato il paese, fece arrestare quelli che riteneva i capi dei rivoltosi, fra i quali l'avvocato Lombardo, che, pur essendo un rivoltoso, si era adoprato per calmare gli animi e aveva intimato la consegna di tutte le armi, l'esautorazione delle autorità comunali e una tassa di guerra per ogni ora trascorsa dall'inizio della rivolta fino alla pacificazione della città. Fu una corte militare, velocemente allestita, a giudicare il fatto rivoluzionario nel 1860 e Bixio fece condannare i rivoltosi alla fucilazione immediata. Tra questi vi era anche un povero scemo. Come monito, i loro cadaveri furono lasciati esposti al pubblico. Nel 1863 il processo venne ripetuto con una corte non militare e si svolse secondo le procedure normali e con una difesa. Da questo episodio Verga trasse spunto per la novella "Libertà", basandosi sugli atti processuali che ebbe modo di leggere direttamente. I "fatti di Bronte" sono un evento particolarmente significativo della storia italiana e lasciarono un segno profondo anche nella storia personale di Nino Bixio. Si tratta di un episodio rivoluzionario e di guerra, frutto di secolari contrasti nella campagna di Bronte, acuiti dalla presenza nella contea di Orazio Nelson. A lui Ferdinando I di Borbone aveva donato, come compenso per l'aiuto ricevuto durante la rivolta del 1799, quella parte di territorio, denominato "ducea", che si estende tra Paternò, Adrano e Bronte, sulle falde dell'Etna. All'epoca in quell'area c'era un grande bosco dove i contadini da sempre si recavano per cacciare o fare legna, grazie all'applicazione degli "usi civici", una legge borbonica che consentiva alla popolazione di usufruire e di coltivare in proprio le terre del demanio. Con la presenza di Nelson questi usi secolari subirono una forte limitazione e furono fonte di forti attriti tra la popolazione del luogo, i Nelson e i galantuomini proprietari terrieri. La presenza dell'ammiraglio era comunque relativa e limitata ad occasionali passaggi. Seppur ridotta, quella zona porta ancora il nome di "ducea di Nelson", tenuta dagli eredi Nelson e controllata dall'ambasciata inglese. |