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Real Sito di Carditello PDF Stampa E-mail

Real Sito di Carditello

S.Tammaro (CE)

Il Real Sito di Carditello  un complesso architettonico di grande valenza storica e culturale della metà del '700, voluto da Ferdinando IV di Borbone come Sito Reale, o Reale Delizia.
Carlo III la usò essenzialmente per l'allevamento di cavalli e per la caccia, perchè gli acquitrini della zona costituivano l'habitat ideale per alcune specie di volatili.

Ben presto, cominciarono a giungere da Carditello derrate di ogni sorta per le esigenze della corte e "mozzarelle", il gustoso formaggio filato ottenuto con la lavorazione del latte di bufala.
I Borboni prestavano molta attenzione all'allevamento del bufalo, tanto da creare un allevamento nella tenuta reale di Carditello dove nella metà del '700, insediarono anche un caseificio.
Per accogliere il sovrano e i membri della sua famiglia si ritenne poi particolarmente utile far progettare dall'architetto Francesco Collecini, una palazzina, le dipendenze agricole ed una chiesa.
A partire dal mese di marzo del 1784, i lavori delle Reali Fabbriche riguardarono progressivamente la costruzione dello stallone, della scuderia, dell?abitazione dei vaccari, della stalla delle bufale, della torre dove avveniva la manipolazione dei latticini, del granile sopra la scuderia dei cavalli, e di altri comodi per l'agricoltura.

Ai due lati del casino si trovano otto torri utilizzate ai piani superiori, come abitazioni per gli abitanti del sito. Precede il sito un ampio stadio, usato per le feste campestri e le corse dei cavalli, mentre due vaste corti quadrate delimitano il retro.
Ricchi gli apparati decorativi del corpo di fabbrica centrale su due livelli, coronato da un loggiato scoperto. Oggi il sito conserva parte degli affreschi originari superstiti.

Nei due corpi laterali è allocato il Museo dell'agricoltura meridionale, un complesso di strumenti, di utensili e di arredi che caratterizzarono, per alcuni secoli, il modo di vivere e di lavorare nella fertile campagna casertana.
Aperto nel 1978, il museo raccoglie torchi, macine, carri, telai, aratri etc. che documentano aspetti della civiltà agricola meridionale, con particolare attenzione alla produzione del vino, dell'olio e della canapa.

Attualmente la tenuta è interessata da opere di risanamento statico curate dalla Soprintendenza per i Beni Ambientali, Architettonici Artistici e Storici di Caserta e del Consorzio di Bonifica del Bacino Inferiore del Volturno.

La ristrutturazione prevede un museo, sale e residenze per centro congressi con sezioni didattiche, ed allestimenti temporanei gestiti anche da privati.

di Giovanni Galatola

La Committenza Reale e le architetture Rurali nella provincia di Caserta

Premessa

La vicenda del  Real Casino di Carditello rappresenta l’ultima dimostrazione, in ordine di tempo, dell’abbandono in cui versano molti monumenti importanti della nostra storia e l’inerzia e l’incapacità delle istituzioni nel gestire ciò che la comunità ha affidato alla loro cura e tutela.

Oggi Carditello, per un giro di debiti contratti con il Banco di San Paolo di Torino, dall’attuale proprietà, il Consorzio di Bonifica del Volturno, sta correndo il rischio più che concreto di essere venduto in un’asta giudiziaria.

Sappiamo che Regione Campania e Provincia di Caserta oltre le buone intenzioni di facciata non sono andate ed i soldi, per acquisire il sito di Carditello, non ci sono. L’inerzia della pubblica amministrazione porterà, il Real Casino di Carditello, tra le braccia della speculazione privata, in una terra già fortemente caratterizzata dalla "invasiva" presenza della malavita organizzata e priva di spazi ed iniziative che guardano ad un futuro diverso.

Molti piangono, pochi agiscono.

La delegazione Neoborbonica di Terra di Lavoro, come altre associazioni presenti sul territorio casertano, si sta attivando per diffondere informazione ed iniziative sulla vicenda. A tal proposito, lanciamo da quest’articolo, la proposta di un presidio da effettuarsi dinanzi la sede della Provincia e della Prefettura di Caserta per sollecitare Stato ed Istituzioni Locali, ad un intervento immediato che blocchi l’asta giudiziaria e riporti, la proprietà del Casino di Carditello, in mano pubblica. 

Ovviamente, sperando di superare questo momento critico, si porrà il grave problema, già per altro attuale, dell’utilizzo di Carditello.

Dalla fine della prima guerra mondiale il Sito ha subito vari usi e riusi, tutti impropri che hanno finito per relegare la splendida struttura settecentesca nell’ambito dell’abbandono e della continua spoliazione delle emergenze decorative più preziose.

Oggi che il degrado ha toccato livelli intollerabili, riteniamo che Carditello debba essere recuperato e riaffidato alla sua funzione storica.

Il Casino, secondo la nostra progettualità, dovrebbe essere assegnato all’università, alla facoltà di agraria, che di concerto con CNR, facoltà di economia e commercio, organizzazioni degli agricoltori e allevatori, Regioni meridionali, e camere di commercio, utilizzi il Real Sito quale “fattoria modello” per la sperimentazione avanzata nelle produzione agricole e zootecniche di eccellenza del meridione.

Insomma costituire un polo di ricerca per migliorare l’industria agricola e zootecnica delle nostre terre con l’obiettivo di posizionare, sui mercati internazionali , le nostre produzioni tradizionali inserendole nella fascia alta dei consumi ove, da tempo, si sono inseriti i prodotti toscani, piemontesi o dell’Emilia Romagna.

L’obiettivo che dovrebbe conseguire il progetto, è quello  trasformare Carditello in un centro scientifico funzionalmente legato all’economia agricola meridionale.

Molti i possibili compiti di un tale centro che, tra l’altro, dovrebbe offrire consulenze, facilitazioni e studi per la concessione delle certificazioni di specificità e qualità alimentari. Questo contesto economico e scientifico non potrebbe prescindere dall’accogliere un moderno centro congressi, un ufficio studi ed un centro di documentazione sulla normativa di settore nazionale, europea ed internazionale.

Come neoborbonici non ci appassiona una battaglia puramente coservazionista, Carditello, così come la Reggia, o la Vaccheria, sono il nostro passato, con un indubbio valore artistico ma, la nostra storia, ha valore se oltre la testimonianza della civiltà delle Due Sicilie ha la capacità di indicarci la strada per il domani, per le generazioni che verranno. 

 Terra di Lavoro

 

Negli anni novanta del settecento la produzione agricola in Terra di Lavoro era particolarmente avanzata. Il rapporto tra seme e raccolto era di 1 a 15:20. Le coltivazioni , spesso, erano parte integrante della filiera produttiva collegata all’allevamento del bestiame da latte, da carne e da tiro.

Negli anni ’50, Carlo di Borbone  volle introdurre criteri di sperimentazione ed innovazione nelle tecniche di allevamento del bestiame da latte. A tale scopo, il sovrano incaricò il Vanvitelli di costruire la Vaccheria Reale, per realizzare un centro avanzato di produzione industriale casearia.

Il sito prescelto si trovava a Nord dalla Reggia, in località Aldifreda, ai confini con il territorio di Starza Grande, uno dei più fertili e pianeggianti dell’agro casertano.

L’area in questione divenne proprietà reale dopo il “forzoso” acquisto del feudo dai Gaetani di Sermoneta. La realizzazione della Vaccheria Reale modificò immediatamente le condizioni del territorio migliorandone le condizioni e la produttività. L’architetto Vanvitelli dovette affrontare numerosi problemi, non ultimo quello dell’irrigazione dei campi. Per ottenere l’approvvigionamento idrico, venne, in un primo tempo, restaurato l’antico acquedotto e successivamente completamente sostituito da quello carolino.

L’ edificio della Vaccheria fu una struttura autosufficiente con spazi destinati alle vacche svizzere ed alloggi per artigiani, operai ed impiegati. Le maestranze artigiane, particolarmente esperte nel settore zootecnico e caseario, furono scelte tra quanto di meglio offriva il mercato in Lombardia.

La funzione principale della Vaccheria fu quella di fornire prodotti caseari alla mensa reale anche se, si sperava di realizzare eccedenze di produzione da collocare sul mercato esterno.

La linea del prospetto principale del sito seguiva la strada che portava a Casolla (oggi inglobato in via Ruggiero). L’edificio a due livelli, ospitava al piano terra dieci bassi per magazzini e latterie mentre il piano superiore era destinato ad alloggiare il personale. All’interno di questo corpo di fabbrica rettangolare, una galleria ellittica, posta ad un piano intermedio tra il piano terra ed il primo piano, era destinata al “trattenimento delle persone reali”. La Vaccheria possedeva due ingressi che fiancheggiavano la sala ellittica. Il corpo principale possedeva due ali laterali, ciascuna composta di nove campate, ove trovavano posto le stalle. Il piano superiore era aperto e possedeva una copertura con tettoie di legno per essere usato come fienile mentre, l’esedra semicircolare, era usata come caprile.

I lavori di costruzione ebbero inizio tra il 1753 ed il 1754 come attestato dalla documentazione custodita presso la Reggio di Caserta.

Negli anni la Vaccheria subì numerosi trasformazioni e rimaneggiamenti che ne alterarono la funzione e l’impianto architettonico originale.

Nell’ottocento, alcune campate furono chiuse per accogliere le stalle delle preziose capre d’angora, furono realizzate nuove costruzioni per accogliere la canetteria (ricovero per i cani da caccia del re)  e l’alloggio del canettiere in ultimo, fu rialzata l’esedra per ricavarne un nuovo fienile.

Nel 1851 fu deciso di trasformare la Vaccheria prima in ospedale militare e, subito dopo,  in caserma per otto compagnie di fanteria. In tale occasione si realizzò la pregevole cappella dedicata al SS. Sacramento commissionata all’architetto Francesco Gavaudan.

Alla sistemazione della Vaccheria, nella zona nord-orientale del territorio di Caserta, seguì quella della canetteria, ottenuta mediante l’adeguamento di una casa di proprietà Grillo, riutilizzata, in parte, anche come abitazione del canettiere. La fabbrica si componeva al pian terreno di dieci bassi, una scuderia per sei cavalli, un piccolo giardinetto e al piano superiore una sala grande, sei camere ed un gabinetto.

La decisione  di sistemare la canetteria di Aldifreda fu assunta da Ferdinando IV nel 1769.

Ancora nel territorio di Starza Grande fu promossa un’altra attività produttiva, quella del “guado”: Raffinando il frutto si otteneva una tintura rossa per tessuti. La isatis tintoria , nota anche come indaco falso era coltivata in quella zona e nel feudo dei Mormili, da essa, dopo macerazione, si otteneva la tintura.

Questa attività, per ragioni di bilancio, fu sistemata in un edificio che ospitava anche la produzione di faenze e terraglie.

Si costituì quindi un nucleo manufatturiero in un’area periferica di Starza Grande, verso sud est lungo la via di San Carlo in direzione di Maddaloni.

Il sito, sin dal XVII secolo, accoglieva una fornace per la produzione di terracotte.

La scelta fu particolarmente felice in quanto, l’impianto poteva godere sia delle acque del Carmignano, che della grande via di comunicazione rappresentata dall’Appia.

Il complesso delle Reali Fornaci di San Carlo, questo il nome assunto dalla fabbrica, fu eretto sotto la supervisione del Vanvitelli tra il 1751 ed il 1753.

La fabbrica era costituita da più costruzioni. Un primo corpo di fabbrica, aveva al pian terreno i magazzini, sia delle fornaci che della raffinazione del guado e gli ambienti di servizio. Ai piani ammezzato e superiore erano invece, collocati gli alloggi per operai ed impiegati. Un secondo edificio, sempre a due piani, ospitava altri alloggi per le maestranze. Infine, in posizione isolata, sorgeva l’edificio  destinato alla lavorazione del guado. Al pian terreno di questo terzo corpo si trovava la fabbrica vera e propria mentre al piano superiore si trovava l’alloggio del direttore.

La vicenda   produttiva di questo impianto multifunzionale, nonostante le premesse e la felice posizione, non ebbe il successo sperato. La manifattura di terraglie chiuse dopo appena tre anni di attività; un solo forno restò in esercizio, usato esclusivamente per i mattoni ma, la scarsa qualità del prodotto ed costi dovuti ad un incendio occorso all’impianto nel 1756, decretarono la chiusura definitiva della fornace nel 1774.

La raffinazione del guado ebbe invece vita più lunga godendo, tra l’altro, anche dei primi aiuti di stato che, inaugurarono la stagione del cosiddetto protezionismo borbonico.

Nel 1756 il ministro Tanucci dispose che l’edificio della soppressa fabbrica di faenze ospitasse la scuderia della Regolata.

Oggi, di questo edificio, non rimane più nulla.

Abbattuto nel secondo dopoguerra, sotto la pressione degli appetiti speculativi della locale classe “politica” ed “imprenditoriale”, al suo posto  sorgono sciatte palazzine di edilizia residenziale. Destino diverso per la Real Vaccheria. Preservata, almeno nella sua struttura ottocentesca, grazie all’uso come caserma, essa andrebbe recuperata ed inserita in un progetto per fare della Terra di Lavoro un polo di eccellenza della ricerca applicata all’agro alimentare ed alla zootecnia.

Nel 1744 il sovrano dispose riassetto della tenuta reale di Carditello, posta nel feudo del conte d’Acerra, collocandovi un nuovo allevamento di cavalli. Per i brevi soggiorni del Re e della famiglia reale furono utilizzati edifici già esistenti in loco.

Ferdinando IV, seguendo l’esempio paterno, volle fare di Carditello, una moderna impresa agricola.

L’architetto Francesco Collecini ebbe commissionata la costruzione di nuovi edifici che rispondessero a precise esigenze funzionali: casino di caccia, soggiorno per la famiglia reale, azienda agricola ed allevamento per nuove razze equine.

Il progettista, lavorò all’adattamento della costruzione iniziata da Carlo di Borbone e lasciata interrotta.

Il fabbricato del Casino Reale fu inserito in un corpo di fabbrica lineare a blocchi simmetrici. Per sottolineare la differenza di funzioni, il casino fu concepito più alto degli altri ambienti della fattoria e coronato da una loggia belvedere.

Innanzi la fabbrica l’architetto realizzò una pista per le corse dei cavalli mentre, nella parte retrostante, creò cinque cortili ad uso agricolo, eccetto quello centrale di pertinenza reale.

 Anche Francesco di Borbone, duca di Calabria ed erede al trono delle Due Sicilie, ordinò alla fine del700 la costruzione di un casino al quale fosse aggregata una azienda agricola. L’intero complesso fu ubicato, ancora una volta, in una porzione della Starza Grande. La fascia centrale del vasto terreno costituì il comprensorio della nuova azienda agricola. Il futuro re Francesco I designò Pietro Bernasconi, nipote del fidato Pietro, capomastro di Vanvitelli,  quale progettista del nuovo complesso produttivo con annesso casino.

I lavori ebbero inizio nel 1795 ed il progetto prevedeva, oltre la realizzazione delle fabbriche, anche delle aree da destinare a giardini.

Il Casino del duca di Calabria si affacciava lungo la via di Sant’Antonio nella vicinanze della Vaccheria reale, su terreni acquistati da Angela e Maria Antonia Gall.

La scelta dell’ubicazione non fu casuale, essa seguì il piano di urbanizzazione dell’ area, già pensato da Carlo di Borbone, che destinava la zona a Nord di Caserta allo sviluppo delle attività agricole.

Il nuovo casino fu edificato seguendo appunto le indicazioni progettuali del Bernasconi, realizzate dall’ing. Domenico Brunelli.

L’edificio centrale, dalla pianta asimettrico, aveva una forma ad “U”, con uno sviluppo di tre piani fuori terra. Il piano terra ospitava locali di servizio, il primo piano ospitava l’appartamento del duca di Calabria, mentre il terzo accoglieva un altro appartamento.

La facciata lungo la via di Sant’Antonio aveva l’aspetto composito di una residenza urbana. Al corpo centrale si affiancavano le ali laterali che racchiudevano le due aie. Accanto il casino venne realizzato il giardino e, senza alcuna soluzione di continuità, accanto ad esso si svilupparono i terreni agricoli di pertinenza del casino.

Le principali produzioni agricole furono indirizzate alla coltivazione di varie specie di grano, mentre per il pascolo vennero utilizzati terreni già adattati a questo scopo per gli armenti e le mandrie della Vaccheria Reale. Il sito anche se non possedeva una linearità architettonica ed una precisa separazione delle funzioni, riuscì tuttavia, ad operare validamente sul piano industriale compiendo anche esperimenti di nuove produzioni.

Le stanze degli appartamenti del Duca erano arredate con un gusto raffinato ma di tale complesso non ci rimane più nulla se non il semplice perimetro dell’edificio principale. Gli edifici di servizio sono andati distrutti così come gli interni di gusto roccocò dell’edificio principale. Un album, disegnato dal Bernasconi, ci consentono di studiare questo sito. Da tale album rileviamo che tra il 1800 e il 1802 fu aggiunto al casino un nuovo impianto detto della Nuova Vaccheria.       

Per l’ingrandimento della prima masseria fu utilizzato un terreno a Nord del confine della Starza Grande; il nuovo edificio fu composto da un’altra residenza reale, ambienti di servizio ed un terreno per la sperimentazione agricola. L’idea fu dello stesso Pietro Bernasconi, seguito nel 1803 da Gaetano Bernasconi. La direzione dei lavori fu affidata sempre all’ing. Brunelli.

L’area comprendeva una zona di 24 moggi ritagliata in un più vasto appezzamento a Nord della Starza Grande e confinante con le principali strade pubbliche: Aldifreda - Santa Barbara e Puccianello.

La nuova terra era attraversata da due viali che incrociandosi formavano una piazzetta circolare. Al termine dell’asse principale si trovava si trovava uno slargo semicircolare sul quale affacciava il nuovo casino.

Il complesso era costituito da una costruzione squadrata centrale di due piani, due ali che accoglievano stalle e fienili ed un cortile rettangolare. La masseria fu dedicata a Santa Rosalia così come l’annessa cappella.

Santa Rosalia, rispetto al casino di Sant’Antonio ebbe una organizzazione architettonica razionale e funzionale alla sua destinazione d’uso. La masseria vantò un’ottima produzione  tanto che nel 1802 si procedette alla edificazione delle case destinate ad ospitare i coloni. Le case furono erette sulla via di Sant’Antonio più a Sud dell’omonima chiesa, sino a raggiungere l’incrocio con la strada dei Pallettoni. Tutta la zone venne pienamente inserita in un quadro urbanistico che la destinava alla produzione agricola e zootecnica.

La speculazione edilizia del XX secolo ha cancellato tutte le tracce di questa edilizia residenziale ed il conseguente disordine urbanistico, che tutt’ora perdura, ha completamente stravolto l’ordinato sviluppo delle funzioni da assegnare alle varie porzioni del territorio. Di tutto il complesso delle masserie casertane resta soli il rudere della casa dei Canonici (o di santa Rosalia), interamente ricoperto da vegetazione infestante, in una zona non ancora pienamente urbanizzata nelle vicinanze del cimitero. 

Nella storia di Caserta, dall’insediamento della corte voluto da Carlo, il territorio fu pianificato ed utilizzato seguendo le necessità politiche ed economiche di quella che sarebbe dovuta diventare una città illuminista, centro politico e di respiro europeo. Gli edifici realizzati, quelli riutilizzati, l’inserimento di attività produttive, la pianificazione dell’utilizzo del territorio, tutto doveva concorrere alla dignità ed alla magnificenza di una città dal grande avvenire così come pensato da Carlo di Borbone dalla sua Consore Maria Amalia e dall’architetto Luigi Vanvitelli.

 

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