FERDINANDO BENEVENTANO DEL BOSCO Palermo 3.3.1813 - Napoli 8.1.1881 L'eroe borbonico per antonomasia era nato a Palermo da Aloisio Beneventano dei baroni del Bosco e da Marianna Roscio. Apparteneva ad una antica famiglia siracusana e il padre, funzionario di corte, aveva ottenuto per il figlio l'ammissione a corte nel 1821 come paggio di re Ferdinando I. Nel 1825 era entrato alla Nunziatella e il 6 ottobre 1829 usciva dalla scuola militare nella quale si era distinto per le capacità militari ma non per quelle caratteriali che ne fecero un uomo particolarmente collerico ed orgoglioso. Ebbe il grado di 2° tenente al 2° granatieri della guardia reale. Undici anni dopo era 1° tenente al 2° Regina e nel 1845, per un duello con l'alfiere Francesco Vassallo, il primo di una serie, fu cassato dai ruoli. Soltanto dopo tre anni, il re lo perdonò e lo riammise in servizio. Il 25 marzo 1848 fu promosso capitano al comando di una compagnia del 3° Principe. Inviato in Calabria con la brigata comandata da Ferdinando Nunziante per combattere i rivoltosi si distinse in tutta la campagna. Spavaldo e estroverso pagò cara l'abitudine di corrispondere con ì personaggi della corte scavalcando ì superiori e emettendo giudizi sugli stessi sempre velenosi. Intercettata una sua lettera al conte Del Balzo, quello che aveva sposato la regina vedova, fu volutamente ignorato dal Nunziante nel notamente dei distinti in Calabria. Nel settembre del 1849 sbarcò a Messina con la sua compagnia e dette prove di grande valore espugnando alla baionetta una batteria nemica. Ferito al braccio da un proiettile, continuò imperterrito a combattere. Nell'aprile dell'anno successivo alla presa di Catania, fu come sempre valoroso e, dopo aver espugnato con tre compagnie una posizione importante, il generale Filangieri si complimentò con lui dicendogli: «Mon cher Ferdinand, je ne m'attendais que ca de toi. J'ai dans ma poche la plus belle decoration c'est la croix de S. Ferdinand». Fu proposto per la promozione a maggiore ma il re, che ne conosceva i bollenti spiriti si limitò a confermargli le decorazioni di diritto di S. Giorgio e di S. Ferdinando con una pensione annua. La promozione arrivò solamente nel 1859 quando Filangieri divenne presidente del consiglio. Con la promozione arrivò anche il primo comando quello del 9° battaglione cacciatori. Se Bosco, che nel frattempo era stato promosso tenente colonnello il 1 maggio 1860, ebbe difficoltà per il suo carattere ad essere preso in considerazione dai superiori, non la ebbe con i suoi sottoposti che lo idolatrarono e ne ebbero sempre cieca fiducia. Profondamente devoto alla dinastia, da siciliano, conosceva ì suoi conterranei ma ì suoi consigli non vennero ascoltati dai superiori nel maggio del 1860. Naturalmente le sue lamentele giungevano puntuali al giovane re dalle lettere che Bosco spediva giornalmente al suo segretario particolare colonnello Severino. Nei combattimenti in cui fu coinvolto il 9° cacciatori Bosco dette sempre prove di grande coraggio. Il suo consiglio di rientrare a Palermo con la colonna Von Mechel, non fu ascoltato dal testardo colonnello svizzero mentre avrebbe potuto fare cambiare il corso delle cose. Rientrato a Napoli col suo battaglione, il re riconobbe i suoi meriti promuovendolo colonnello il 1° giugno. Dopo sole 48 ore di permanenza in Napoli, fu inviato a Messina dove si erano riunite le truppe al comando del maresciallo Clary per una eventuale riconquista dell'isola. Al comando di una colonna composta da tre battaglioni cacciatori fra cui il suo, fu inviato a Milazzo, ultimo avamposto napoletano col compito di difenderlo. Bosco, pur vedendo che il nemico ingrossava e poteva tagliargli la ritirata verso Messina, con il suo irruento carattere, volle dare imprudentemente battaglia e lo fece sulla piana di Milazzo. Ancora una volta si comportò da prode come fecero tutti gli uomini da lui dipendenti ma il numero delle forze era impari e dovette soccombere e ritirarsi nel forte di Milazzo. Per il re e per 1 borbonici era ormai un eroe ed è facile comprenderlo nella pochezza che contraddistinse la maggior parte degli alti ufficiali dell'esercito napoletano. Se non altro fu sempre coraggioso anche se troppo guascone. Rientrato a Napoli, ebbe la promozione a generale di brigata il 17 agosto 1860. Il ritorno di Girolamo Ulloa a Napoli e la sua eventuale utilizzazione come comandante delle truppe in Calabria dandogli come capo di stato maggiore il Bosco, lo fece salire su tutte le furie perché, senza alcun senso politico, si ritenne offeso dal dover servire un disertore del 1848. In lui furono riposte soverchie speranze e su suo consiglio furono inviate due forti brigate al suo comando ed a quello di Von Mechel per incontrare Garibaldi sulla piana di Salerno e tentare di batterlo prima che potesse giungere nella capitale. Ma il re aveva ormai deciso di tentare la fortuna dietro il Volturno per poter essere certo di contare su ufficiali realmente fedeli alla causa e, proprio quando giunsero gli ordini di ripiegamento su Capua, Bosco fu colpito da quello che oggi si chiama colpo della strega. La notte del 5 settembre si fece portare a Napoli dove dovette stare nascosto perché due giorni dopo vi fece ingresso Garibaldi. Grazie all'intervento di suo cognato Gaetano Zir, liberale da sempre e proprietario di un albergo, potette evitare di essere preso prigioniero e, con un accordo, fu espulso dal paese con la promessa di non combattere per due mesi contro Garibaldi. Da questo momento sembra terminare il periodo del grande coraggio di Ferdinando Bosco perché, data la considerazione di cui poteva godere un Garibaldi per un fedele suddito del re delle Due Sicilie, non sembra essere stata la parola data ad averlo tenuto lontano dai campi del Volturno. Trascorsi due mesi, Bosco comunque si presentò a Gaeta e la sua sola presenza galvanizzò gli assediati. Gli fu affidata una divisione di fanteria e la direzione di due sortite effettuate per distruggere i lavori del nemico. Bosco non le guidò e si limitò ad attendere con la riserva il rientro dei soldati. Anche a Roma, durante l'esilio, al quale volontariamente volle sottoporsi il generale, che prima della resa di Gaeta era stato promosso maresciallo di campo, il suo comportamento non fu più quello di un tempo. Preoccupato per l'avvenire, passò il tempo a complottare e, secondo le memorie di Pietro Ulloa, non sempre attendibile, richiese al governo italiano di potervi essere ammesso da maggior generale. Gli sarebbe stato risposto che poteva essere ammesso col grado di capitano. L'inattendibilità di questa asserzione di Ulloa è data dal fatto che tutto si può dire al governo italiano dell'epoca sull'argomento ma non che non rispettò i gradi dei militari napoletani avuti prima del 7 settembre 1860. Comunque tutto ciò dimostra la pessima atmosfera da basso intrigo che regnava a Roma durante l'esilio di Francesco II. Messo a capo insieme al Vial dell'organizzazione della resistenza armata, dimostrò di aver perso completamente le attitudini bellicose che tanto lo avevano fatto apprezzare. Sempre pronto a parole a mettersi a capo di truppe inesistenti, rimaneva a Roma dove perdeva il tempo a provocare duelli come quello in cui si fece padrino di un legittimista francese volontario a Gaeta col colonnello Pisacane. Il re cercò di farlo fermare ma Bosco continuò per la sua strada sulla quale però questa volta incappò nelle ire di Pio IX che, già nel 1861, lo aveva fatto ammonire per un altro episodio consimile. Bosco fu espulso dallo stato romano e, nonostante i tentativi e le suppliche, dovette partire e girovagò per varie capitali estere fino a giungere in Spagna ed in Marocco. Da quel momento scompare dalle cronache. Rientrerà a Napoli dove morirà nel 1881. Fu un personaggio amato e odiato. Ebbe estimatori tanti quanti lo furono i detrattori. Comunque attorno a lui si creò quel clima di leggenda con un fondo di realtà. Se molti avessero fatto fin dall'inizio come lui nell'esercito napoletano difficilmente Garibaldi avrebbe avuto partita vinta con tanta facilità. |