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Risorgimento
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Il Trattato di Casalanza: 20 MAGGIO 1815 |
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IL TRATTATO DI CASALANZA: 20 MAGGIO 1815 In questo luogo poco conosciuto di Terra di Lavoro il 20 Maggio 1815 fu stipulato tra l'esercito austriaco e quello napoletano del Murat il trattato che pose fine al decennio napoleonico nel Regno che era stato di Ferdinando. Per mezzo di esso Francesco I d'Asburgo fu in grado di riconsegnare lo Stato all'alleato Borbone, spodestando definitivamente Gioacchino Murat, Re di Napoli, il cui esercito dopo la sconfitta di Tolentino era ormai in fuga. |
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Napoli borbonica: governo modello |
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Se l'operato di un'amministrazione si giudica dai suoi conti pubblici, bisognerebbe rivedere alcuni luoghi comuni Nessuna "revisione" per il Papa I massoni sono fermi al 1870 di Angela Pellicciari | Martino Mora su la Padania del 5 giugno cita diffusamente l'intervento di Mario Cervi alla presentazione del libro di Romano Bracalini L'Italia prima dell'unità. Secondo l'ex direttore de Il Giornale, Bracalini ha tutte le ragioni di esprimere un giudizio"estremamente negativo" sugli stati preunitari,è mentre fa bene a elogiare l'amministrazione austriaca del Lombardo-Veneto: Gli austriaci abbandonarono i loro territori italiani lasciando un retaggio di civismo e civiltà, mentre i Borbone e lo Stato della Chiesa non lasciarono "nulla". Dal compagno d'armi di Montanelli sarebbe difficile aspettarsi un giudizio diverso. Il punto è che le cose non stanno così. Anche se è comodo, orecchiabile, suona bene, ribadire i mitici racconti risorgimentali cui da più di un secolo siamo abituati. Il discorso di Cervi unisce una verità a una bugia: che l'amministrazione del Lombardo-Veneto fosse buona, nessuno oggi più lo nega. Che quella dello Stato della Chiesa e del Regno delle Due Sicilie fosse pessima è, viceversa, una leggenda nera che Cervi si limita a ripetere.Il mondo a volte gira in modo strano: abbiamo riabilitato un governo "straniero" contro cui sono stati scritti fiumi di inchiostro e che(perlomeno a parole) ha motivato le eroiche gesta dei nostri padri della patria, ma continuiamo a condannare senza appello (e senza ragione) governi nazionali degni, viceversa, di grande rispetto. Come mai il revisionismo a favore dell'Austria non è seguito da un analogo revisionismo a favore dello Stato della Chiesa e della Napoli borbonica? Prima di rispondere a questa domanda dobbiamo ricordare qualche "fatto", lo stesso Cavour a elogiare l'amministrazione austriaca (ma anche quella borbonica), e lo fa nel modo più inequivocabile nel 1846 scrivendo un saggio sullo stato delle ferrovie in"Italia",Il conte attribuisce alle ferrovie il compito di volano dell'economia e del progresso civile e culturale della nazione. Ebbene, Cavour deve a malincuore riconoscere che, mentre in Piemonte lo sviluppo ferroviario è ancora un progetto illuminato, nel regno delle Due Sicilie e nel Lombardo-Veneto si è già passati ai fatti. Ferdinando II ha realizzato le tratte Napoli-Castellammare e Napoli-Capua (linee che, se da un punto di vista economico hanno poca importanza, hanno il merito di rendere la vita più agevole ai napoletani e ai numerosi turisti) ed ha deciso il loro prolungamento. Quanto al Lombardo-Veneto, è stato il primo paese italiano a prendere sul serio la questione ferroviaria. Dal 1838 - ricorda Cavour - esiste la linea Milano-Monza, mentre il tratto Milano-Venezia, deciso da tempo, ha tardato a realizzarsi per la deplorevole apatia, che potrebbe anche definirsi colpevole, dei capitalisti milanesi. Solo l'intervento potente e generoso del governo austriaco ha permesso di superare le difficoltà: Bisogna ammettere che in questo frangente il governo di Vienna ha dato prova nei confronti dei sudditi italiani di sentimenti tanto illuminati quanto benevoli.Sempre sul numero del 5 giugno, la Padania spara a zero contro i falsificatori dei pubblici bilanci: Il Carroccio chiede azioni legali verso chi ha prodotto una voragine nei conti pubblici. Una buona amministrazione è per definizione quella che rispetta i soldi dei cittadini e ne fa buon uso. Se le cose stanno così, quello ella Napoli borbonica è un governo modello.Mentre nel Piemonte preunitario nuove tasse e nuovi prestiti non fanno che rincorrersi in un vortice che precipita il piccolo regno verso la bancarotta, nel napoletano le spese sono sistematicamente inferiori a quelle previste. L'Archivio economico dell'unificazione italiana documenta che nel quinquennio 1854-58 a un disavanzo complessivo previsto in 18.192.000 ducati, corrisponde un disavanzo di soli 5.961.000 ducati: circa un terzo della somma preventivata. La stessa cosa succede a riguardo della previsione di incasso: Anche gli introiti presunti erano generalmente inferiori a quelli effettivamente realizzati. Ciò accadeva perchè i "bilanci preventivi venivano compilati con grande circospezione". Il confronto fra Regno di Sardegna e Regno delle Due Sicilie è perdente anche sull'insieme della politica fiscale: mentre a Napoli non si pagano tasse di successione, in Piemonte queste arrivano al 10% nel caso di estranei, al 5% nel caso di fratelli, all'1% in quello dei figli. Mentre a Napoli non si pagano tasse sugli atti delle società per azioni e su quelli degli istituti di credito, in Piemonte si.Il torinese L'Armonia, uno dei giornali più battaglieri dell'epoca, ricorda che nel napoletano "il debito pubblico è minimo, e le cartelle appartengono quasi esclusivamente ai regnicoli"; "che l'imposta fondiaria è dolcissima"; che"la Sicilia è esente dalla leva militare, che è un'imposta di sangue, dall'imposta sul sale, e dal monopolio del tabacco; che il barbaro Ferdinando ha stabilito nei maggiori centri della popolazione monti frumentari per somministrare grano agli agricoltori da seminare e per mantenersi colle loro famiglie, tagliando così in pari tempo le gambe all'usura". Il comportamento dei regnanti napoletani non potrebbe essere più diverso da quello del conte di Cavour che, da principale azionista della Società anonima dei Mulini anglo-americani di Collegno, lucra sulla vendita di grano all'estero in tempi di carestia.Riprendiamo la domanda da cui siamo partiti: perchè insieme al Lombardo-Veneto non vengono riabilitati gli altri governi preunitari, in testa quello borbonico? Perchè Ferdinando II ed il papa, da cattolici, difendono l'eredità culturale e religiosa della nazione. Proprio quell'identità che i liberal-massoni piemontesi e italiani hanno voluto (e vogliono) sradicare. | |
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Fenestrelle i primi nomi dei soldati Napoletani |
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DAL CAMPO DI PRIGIONIA DI FENESTRELLE I PRIMI NOMI DEI SOLDATI NAPOLETANI MORTI DURANTE LA FORZATA DETENZIONEIl nostro primo studio sui campi di prigionia per soldati Napolitani, apparso sulla rivista L'Alfiere, diede origine ad un pi? ampio saggio di Fulvio Izzo sull'argomento (I Lager dei Savoia). Le due ricerche, integrandosi, sono state alla base di una nuova messa a fuoco dell'ultima storia militare del Sud indipendente. Indro Montanelli neg? l'esistenza dei campi di concentramento al Nord per soldati meridionali durante le fasi costitutive dell'unit? d'Italia; ma, la sua, fu una difesa aprioristica e settaria del principio risorgimentale perch? se avesse avuto voglia di documentarsi, ed i nostri studi offrivano la bibliografia inoppugnabile, avrebbe potuto consultare i Carteggi di Cavour, base di partenza per conoscere il problema. Bastava limitarsi al solo volume dedicato all'indice dei precedenti 15 volumi, per trovare a pag. 188 il titolo "prigionieri di guerra Napoletani" con l'indicazione di ben 19 dispacci riportati nel terzo volume "La liberazione del Mezzogiorno" dove si parla diffusamente dei soldati del Sud e del loro triste destino. Pi? autorevoli studiosi della materia hanno invece accolte le nostre ricerche con maggior seriet? ed il prof. Roberto Martucci, storico dell'Universit? di Macerata, ha scritto con coraggio: "il silenzio della pi? consolidata riflessione storiografica sull'argomento appena evocato, consentirebbe di ipotizzare l'inesistenza o la non rilevanza del fenomeno dei prigionieri nelle guerre risorgimentali, anche a causa della stessa brevit? degli eventi bellici di quella fase storica, generalmente limitati a poche settimane di conflitto. Impressione che risulta rafforzata dalla lettura di testi coevi quali quelli del borbonico Giacinto De Sivo, che dedica poche righe alla questione, o del liberale Nicola Nisco che in proposito tace. Meraviglia di pi? il silenzio conservato dal giornalista e politico liberale Raffaele De Cesare, che ha scritto a pochi decenni dagli avvenimenti, sulla base di testimonianze dirette integrate da un'interessante bibliografia, senza tuttavia prestare la minima attenzione al problema. Il fatto poi che neppure il compiuto affresco legittimista di Sir Harold Acton, tracciato in anni a noi pi? vicini, si riferisca al tema crepuscolare della prigionia, sembrerebbe autorizzare una presa di distanza dalle poche righe con cui padre Butt? tent? a suo tempo di sfidare l'oblio dei posteri". La questione assume per? contorni del tutto differenti se, abbandonato l'alveo della ricostruzione storiografica, proviamo ad interrogare quell'inesplorato e vasto microcosmo costituito dall'imponente Carteggio del conte di Cavour. Occultati tra migliaia di dispacci troviamo, infatti, una ventina di documenti che evocano a grandi linee una questione non marginale, suggerendo approfondimenti archivistici tali da riempire una pagina restata finora bianca nella storia militare dell'unificazione italiana. Essi aprono anche interessanti prospettive di ricerca riguardo alle relazioni interpersonali tra settentrionali e meridionali e all'uso di alcuni stereotipi divenuti di uso frequente nei decenni postunitari, per qualificare gli appartenenti ai ceti pi? umili del cessato Regno delle Due Sicilie. Sottoscriviamo le parole dello storico con una riserva: la conoscenza del problema relativo alla prigionia dei soldati Napolitani colmer? certamente "una pagina restata finora bianca nella storia militare dell'unificazione italiana" ma andr? a formare, principalmente, il capitolo ricostruito a peritura vergogna di una classe politica e di una dinastia che unificarono in quel modo, "col ferro e col fuoco", Stati di tradizione italiana di gran lunga superiore a quella del Piemonte. Tornando ai nostri studi dobbiamo registrare un passo in avanti della ricerca, divenuta ormai un tema caro a tanti studiosi che si sentono eredi, oltre che discendenti, del cessato Regno delle Due Sicilie. Il passo in avanti riguarda la situazione del campo di concentramento di Fenestrelle. Questo luogo, situato a quasi duemila metri di altezza, sulle montagne piemontesi, divenne la base di raggruppamento dei soldati borbonici pi? ostinati: quelli, per intenderci, che non vollero finire il servizio militare obbligatorio nell'esercito sabaudo, quelli che si dichiararono apertamente fedeli al Re Francesco II, quelli che giurarono aperta resistenza ai piemontesi. Il luogo non era nuovo a situazioni del genere perch? gi? Napoleone se ne era servito per detenervi i prigionieri politici ed un illustre Napoletano, don Vincenzo Baccher, il padre degli eroici fratelli realisti fucilati dalla repubblica partenopea il 13 giugno del 1799, vi aveva passato 9 anni, dal 1806 al 1815, tornando a Napoli alla venerabile et? di 82 anni. A Fenestrelle, quindi, giunsero i primi "terroni" ed in questo luogo molti di essi cessarono di vivere. Il numero di coloro che trovarono la morte non ? certo perch? le cronache locali parlano di migliaia di soldati prigionieri morti ma non registrati. I loro corpi venivano gettati, "per motivi igienici", nella calce viva collocata in una grande vasca situata nel retro della chiesa che sorgeva all'ingresso del Forte. Il personale addetto alla fortezza conferma ancora oggi l'esistenza della vasca. Ma a Fenestrelle funzionava anche un ospedale da campo dove furono ricoverati alcuni prigionieri. Coloro che morirono nell'ospedale vennero annotati nel libro dei morti di Fenestrelle e la Provvidenza ha permesso che alcune annate del libro parocchiale dei morti si sia potuto consultare, anche se molto velocemente. Il dottor Antonio Pagano, accompagnato dal dott Piergiorgio Tiscar, discendente del maggiore don Raffaele Tiscar de los Rios, capitolato a Civitella del Tronto, recatosi il 22 maggio scorso a Fenestrelle in sopralluogo per organizzare la commemorazione dei nostri prigionieri che si terr? sabato 24 giugno, ha visionato il libro dei morti ed ha stilato velocemente l'elenco che ora si pubblica. I registri del 1860 e del 1861 sono scritti in francese ed i nostri soldati vengono definiti "prigionieri di guerra napoletani". I registri del 1862, del 1863, del 1864 e del 1865 sono scritti in italiano e definiscono i prigionieri morti "soldati cacciatori franchi". Mancano all'appello i registri dal 1866 al 1870 perch? prestati ad uno studioso di Torino. Avremmo modo, in futuro, di colmare la lacuna e correggere eventuali errori di trascrizione Elenchiamo ora i nomi dei nostri Caduti con religiosa emozione al fine di restituire alla loro memoria, dopo 140 anni, gli onori ed il rispetto che meritano per il sacrificio sopportato. - ANNO 1860
1. Garloschini Pietro, m. 1.10, di Montesacco (?) 2. Conte Francesco, m. 11.11, di Isernia, anni 24 3. Leonardo Valente, m. 23.11, di Carpinosa, anni 23 4. Palatucci Salvatore, m. 30.11, di Napoli, anni 26 5. Suchese (?) Francesco, m. 30.11, di Napoli - ANNO 1861
1. Scopettino Matteo, m. 24.8, di Chieti, anni 22 2. Miggo Salvatore, m. 7.10, di Galatina (Lecce) anni 24 - ANNO 1862
1. Donofrio Carmine, m. 16.1, di Villamagna (Chieti) , anni 27 2. Caviglioli Marco, m. 29.1, di Cosciano (?) 3. Palmieri Biagio, m. 5.2, di Teano, anni 23 4. Visconti Domenico, m. 16.4, di Cosenza, anni 28 5. Mulinazzi Francesco, m. 20.7, di Benevento, anni 24 6. Gentile Rocco, m. 24.7, di Avellino, anni 25 7. Leo Vincenzo, m. 18.9, di Veroli (Frosinone), anni 26 8. Lombardi Nicola, m. 25.9, di Modigliano (?) 9. Vettori Antonio, m. 7.11, di Amantea, anni 26 - ANNO 1863
1. Mazzacane Cristoforo, m. 18.2, di (?) 2. Pripicchio Raffaele, m. 21.3, di Paola, anni 23 3. Giampietro Giovanni, m. 9.5, di Moliterno, anni 28 4. Milotta Giuseppe, m. 23.5, di Sala, anni 24 5. Spadari Ruggero, m. 25.5, di Barletta, anni 24 6. Serbo Tommaso, m. 17.8, di Triolo - Gareffa (?), anni 26 7. Gaeta Giordano, m. 11.10, di Pellizzano (Salerno), anni 32 8. Gorace Domenico, m. 15.12, di Palma, anni 32 9. Grossetti Angelo, m. 23.12, di Mura (Vestone), anni 25
- ANNO 1864
1. Masareca Giuseppe, m. 20.1, di Basilicata, anni 22 2. Morino Santo, m. 29.1, di Mussano (Lecce), anni 26 3. Pastorini Andrea, m. 16.2, di Maregno (?), anni 27 4. Montis Salvatore, m. 24.4, di Tramalza (?) 5. Palermo Giovanni, m. 12.5, di Atripalda, anni 32 6. Cirillo Salvatore, m. 17.5, di Boscotrecase (Napoli), anni 32 7. Pellegrini Massimiliano, m. 11.6, di Colorno (?), anni 26 8. Mossetti Antonio, m. 5.7, di Montalbano Jonico, anni 22 9. Di Giacomo Pasquale, m. 8.7, di Sessa Aurunca, anni 23 10. Giannetto Antonio, m. 19.7, di Zarca (?), anni 30 11. Davarone Francesco, m. 25.7, di Avellino, anni 26 12. Carpinone Cosimo, m. 4.11, di Fossaceca, anni 31 13. Bononato Carmelo, m. 17.11, di Belvedere, anni 27 14. Melloni Antonio, m. 20.11, di Sersini (?), anni 24 - ANNO 1865
1. Laise Nunziato, m. 25.1, di Cetrara, anni 24 2. Barese Sebastiano, m. 30.1, di Montecuso, anni 26 3. Catania Angelo, m. 11.2, di Ischitella, anni 22 4. Pessina Luigi, m. 21.2, di Gragnano, anni 27 5. Mossuto Giuseppe, m. 1.4, di Moriale, anni 25 6. Guaimaro Mariano, m. 8.4, di Sala Consilina, anni 30 7. Torrese Andrea, m. 11.5, di Avenza, anni 21 8. Colacitti Salvatore, m. 15.5, Montepaone, anni 24 9. Santoro Giuseppe, m. 20.5, di Sattaraco (?), anni 27 10. Tarzia Pietro, m. 31.5, di Valle d'Olmo, anni 24 11. Palmese Tommaso, m. 6.9, di Saviano, anni 24 12. Ferri Marco, m. 11.10, di Venafro, anni 24
Elenco compilato a Fenestrelle Il gioved? 25 maggio 2000, alle ore 12,30, da: - Antonio Pagano - Pier Giorgio Tiscar? Questi soldati del Sud finirono i loro giorni in terra straniera ed ostile, certamente con il commosso ricordo e la struggente nostalgia della Patria lontana. Erano poco pi? che ragazzi: il pi? giovane aveva 22 anni, il pi? vecchio 32. Se non fossero stati relegati a Fenestrelle probabilmente sarebbero divenuti "briganti" e, forse, anche per questo motivo, furono relegati a Fenestrelle, fortezza del liberale piemonte, dove, entrando, su un muro ? ancora visibile l'iscrizione: "OGNUNO VALE NON IN QUANTO E' MA IN QUANTO PRODUCE" . Motto antesignano del pi? celebre e sinistro slogan che si poteva leggere nei lager nazisti: "ARBEIT MACHT FREI". Non deve destare meraviglia l'abbinamento perch? la guerra del risorgimento, come ha giustamente osservato di recente Ulderico Nistic?, fu una guerra ideologica. E la guerra ideologica non pu? che concludersi con lo sterminio del "nemico". FRANCESCO MAURIZIO DI GIOVINE |
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Il Primo Tunnel Ferroviario |
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IL PRIMO TUNNEL FERROVIARIO del Regno delle Due Sicilie La galleria dell'Orco, inaugurata il 31 maggio del 1858, fu il primo tunnel ferroviario del Regno delle Due Sicilie, ma andò in esercizio solo dopo la caduta dei Borboni, il 17 febbraio 1861, per collegare la linea ferroviaria Capua-Cancello-Sarno a Mercato San Severino, sulla vie delle Puglie; essa è situata in corrispondenza dell'omonimo passo dell'Orco, che mette in comunicazione la valle del Sarno con quella di Mercato S.S. (Campania-prov.Salerno), tra la collina di Torricchio, lato Nocera e la collina di S. Apollinare, dalla parte opposta. La località ove è situato il tunnel è notoriamente storica, perchè, nel 216 A.C., permise al cartaginese Annibale, dopo la vittoria di Canne (2^ guerra punica), di guidare il proprio esercito attraverso la " Montagna Spaccata" o "Campanile dell'Orco" e irrompere verso la città fortificata di Nuceria. Allo sbocco del tunnel, lato Nocera, si trovava la vecchia stazione di Codola. La nuova stazione di Codola (1882) fu collegata con un raccordo di 5 Km. con Nocera Inferiore sulla linea Napoli-Salerno. Nel giorno dell'inaugurazione la galleria fu rischiarata con 5000 lumicini per permettere agli invitati l'attraversamento dei 442,55 metri di lunghezza, mentre alcuni carri posti su un binario erano tirati a mano per l'intero percorso. |
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I ribelli di Ferdinando di Generoso d'Agnese Furono soltanto 20 mila (su 72 mila previsti) i giovani che si presentarono alla prima leva militare del Regno d'Italia nel 1861. Il governo decise di provvedere con mezzi sbrigativi alla risoluzione del problema, inviando reparti regolari dell'esercito piemontese nei piccoli paesi del Meridione. Rastrellamenti e deportazioni di tutti maschi dell'apparente età dai venti ai 25 anni, e in alcuni casi fucilazioni sommarie (Castelsaraceno, Carbone, Latronico), per ragazzi in gran parte figli di contadini e all'oscuro della chiamata alle armi, segnarono una delle pagine pi? oscure dei primi momenti del Regno d?Italia. Alcuni di questi ragazzi riuscirono a sfuggire definitivamente a una leva che non capirono, riparando sui piroscafi in partenza per il Nuovo Mondo, aggiungendo il proprio nome a quello di molti ex soldati borbonici in fuga da una coscrizione obbligatoria che spesso diveniva uno stato di semi-prigionia. Furono soprattutto i più valorosi difensori degli ultimi baluardi di Re Ferdinando a pagare il prezzo più alto. I soldati di Gaeta e di Civitella del Tronto infatti vennero letteralmente deportati verso campi di concentramento in Piemonte affinchè diventassero innoqui. Per 684 valorosi soldati meridionali la sorte fu invece meno amara, almeno in un primo momento. Grazie all'intermediazione dell'americano Chatham Roberdeau Wheat, protagonista della guerra d'indipendenza insieme alla brigata inglese, ai militari fu data la possibilità di scegliere tra l'internamento nei campi di concentramento e l'esilio negli Stati del Vecchio Sud, per riprendere in America una nuova vita. Quelli che scesero quindi sul molo di New Orleans dalle navi "Elisabetta" "Olyphant" "Utile" "Charles & Jane" "Washington" e "Franklin" non erano semplici braccia da lavoro per i campi della Louisiana. Tra la fine delle ostilità italiane e lo sbarco a New Orleans, la causa secessionista aveva gettato semi forti e virulenti tra le colonie che stavano per dar vita alla Confederazione americana. L'arrivo, tra dicembre del 1860 e gli inizi del 1861 in Louisiana, di uomini che conoscevano bene l'uso delle armi e che avevano combattuto con onore nella guerra contro le truppe garibaldine, venne visto quindi con occhio molto interessato da chi aveva già in mente una forza armata indipendente dall'Unione. Per gli scomodi ex soldati borbonici ebbe inizio a New Orleans una nuova vita che nel giro di pochi mesi li vide ancora una volta indossare una divisa e mettere un fucile a tracolla, camminare su strade infangate e scavare trincee. Divennero i soldati della Confederazione americana. Ancora una volta ribelli e dalla parte sbagliata della storia. Nonostante tutto leali e coraggiosi anche in una terra sconosciuta. Lo stato della Luisiana reclutò gran parte di questi uomini nel 6 reggimento formato dalle brigate Europee: nacquero il battaglione dell' "Italian guards" e la "Garibaldi Legion" (presto rinominato Legione Italiana in seguito alla protesta degli stessi soldati borbonici) mentre il 10 reggimento di Fanteria della Luisiana la I Compagnia venne costituito esclusivamente da ex soldati di Re Ferdinando. Veterani che durante il progressivo inasprimento della guerra vennero via via inseriti in quasi tutti i reggimenti della Confederazione. Pagarono un tributo notevole alla causa della guerra. Parteciparono a tutte le battaglie più importanti del conflitto e il 10 aprile del 1865, alla resa del Generale Lee ad Appomatox si poterono contare solo pochi superstiti. Il 10 reggimento, su 987 effettivi iniziali, si arrese con soli 18 reduci. Tra questi vi era Salvatore Ferri, già soldato del Regio esercito borbonico. Una condotta esemplare, quella tenuta da soldati che già avevano subito l?onta della sconfitta in Italia e che tra le file opposte riconobbero anche diversi nemici che avevano indossato la casacca da garibaldini. Caduta New Orleans, i superstiti dei battaglioni formati da italiani ex borbonici furono inviati a Port Hudson dove si distinsero per il coraggio e l'abnegazione e più di uno ottenne anche un riconoscimento pubblico. Per i soldati che perdono la guerra e per una nazione che cessa di esistere come avvenne per la Confederazione non vi è nessuna medaglia al valore militare a ricordarne le gesta. Per Gian Battista il cui stesso nome attinge all'ironia della storia invece la gloria arrivò al momento della sepoltura. Nato a Lavagna (Genova) nel 1831, combattente con il grado di sergente nel 27 reggimento della Virginia, soldato valorosissimo della brigata Stonewall, Gian Battista Garibaldi visse fino al 1914 e fu seppellito nel cimitero di Lexington, accanto al Generale Lee e al generale Jackson, a ricordarne il grande eroismo. Una storia esemplare, quella di Gian Battista, che scelse di servire contro tutto tutti e tutto la bandiera della Confederazione, convinto assertore della libertà nei confronti dell'Unione e nemico temibile per ogni soldato dell'Unione. Come lui, gli altri ex borbonici mantennero alto l'onore di Re Ferdinando, memori anche delle disumane condizioni nelle quali erano stati tenuti da prigionieri dei Piemontesi. I loro nomi non hanno ricevuto l'onore di una lapide sul campo di battaglia di Gettysburg (cosa avvenuta invece per gli italiani della Garibaldi Guard nordista), ma sono rimasti impressi nella memoria storica della Lousiana che ne aveva raccolto le tracce nel sacrario confederato locale (Confederate Memorial Hall), distrutto dalla furia dell'uragano Katrina. Nomi che ben presto troveranno spazio nei musei storici di Civitella del Tronto, per rendere onore a combattenti leali e coraggiosi. Capitati dalla parte sbagliata della storia. |
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