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Risorgimento
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Figlio di un colonnello di cavalleria, nel 1821 era sottotenente di artiglieria partecipando alle vicende di quell'anno. Nel 1829 era primo tenente e dopo un periodo di esperienza al neo nato stabilimento di Torre Annunziata venne scelto dal re Ferdinando II nel 1837 per dirigere una officina situata nello stesso palazzo reale dove furono costrite le prime macchine a vapore. Il laboratorio ebbe una grande richiesta di lavori tanto che Carlo Filangieri decise di fare costruire un apposito stabilimento alle falde del Vesuvio, l'opificio di Pietrarsa. Il comando fu affidato a Luigi Corsi. Fino al 1860 l'opificio ne resse le sorti con grande intelligenza ed estrema serietà. Dal suo stabilimento uscirà tutto il materiale rotabile delle ferrovie napoletane, le locomotive a vapore, il ferro sul ponte Calore e tante altre commesse.. Entrati i garibaldesi a Napoli, Luigi Corsi resse il comando per pochi giorni e anche se invitato dal governo sardo a rimanere al suo posto, preferì dimettersi , non senza prima avere ricordato in una memoria allo stesso governo piemontese che la qualità dei prodotti di Pietrarsa era superiore a quella dei medesimi prodotti provenienti da altre parti d'Italia e dell'estero e che il costo superiore era dovuto alla necessità di mantenere in vita un industria giovane ma locale. Non fu ascoltato e anche Pietrarsa venne smantellata e ridotta come fu per Mongiana , S. Leucio e Torre Annunziata. Ai funerali del Colonnello Luigi Corsi che si era stabilito a Portici, vicino allo stabilimento,parteciparono tutti i suoi vecchi operai |
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dal sito "Amici di Angelo Manna" Angelo Manna nacque ad Acerra l? 8 giugno del 1935 da Raffaele e Fulvia Montano. I primi passi li mosse a Roma, dove il Pap? ricopriva un importante incarico ministeriale. Non tard? molto a mettere in mostra la sua spiccata personalit?, il modo tutto suo di vivere fuori dagli schemi. Infatti, a poco meno di 8 anni, d?iniziativa e senza alcuna specifica preparazione, nella Parrocchia sotto casa si present? all?Altare per assumere la Prima Comunione. La mamma, pia donna, si convinse che Angelo non si fosse macchiato di sacrilegio, solo quando il Parroco di Via Albalonga, tranquillizzandola, le spieg? che mai, come in quell? occasione, ci fu in un bambino tanto trasporto e tanto desiderio ad accostarsi al sacramento della Comunione... trasporto per? ? andato via via affievolendosi. Angelo non ? stato mai molto praticante specie per un cattivo rapporto con i preti, anche se tra i suoi migliori amici ha annoverato Padre De Cicco, suo insegnante di religione al liceo e Don Ciccio Perrotta, dai lui qualificato "prete santo" . Nel 1948 il pap? lasci? il Ministero, e quindi Roma, per la direzione generale del Banco di Napoli. Il giovane Angelo si trasfer? ad Acerra, dove prese a frequentare le scuole locali. Ben presto divenne l?allievo prediletto delle Signorine Giulietta e Argia, due zitellone preparatissime e rigorosissime,insegnanti di materie letterarie che ebbero grande influenza sulla sua preparazione umanistica. Forte di tale preparazione affront? con successo il liceo classico a Napoli, il Vittorio Emanuele II - ironia della sorte - dove per? ben presto cominci? ad avere problemi per la ?cattiva condotta?. Insofferente alle prese di posizione immotivate dei professori, del preside, contestatore della prima ora, era ben presto assurto di fatto ad una specie di rappresentante di classe "ante litteram". Era considerato ? e non a torto ? il personaggio che in classe faceva opinione, che riusciva a coagulare attorno a s? il consenso dei compagni, di classe e non,sugli
scioperi, sui movimenti di piazza, sugli atteggiamenti da assumere, per cui ben presto divent? l'elemento da isolare, il bersaglio da abbattere. Le sospensioni dalle lezioni cominciarono a fioccare con regolarit?, culminando poi nella mancata ammissione agli esami di maturit? per il cattivo voto in condotta e nell?espulsione da tutte le scuole della Repubblica (erano davvero altri tempi!). Solo presentandosi da privatista riusc? a superare, peraltro brillantemente, l?esame di maturit? e si iscrisse alla Facolt? di Giurisprudenza dove segu? un corso di laurea regolare riportando tra l?altro, coerentemente col suo personaggio, la massima votazione in alcuni esami, alternato a qualche 18 a maggioranza. Terminato il corso di studi ufficiali ? gli altri verso i quali si sentiva sempre pi? attratto sono proseguiti fino all?ultimo - volle provare a fare il giornalista. Fu assunto nel 1960 al "Mattino" - quello di Ansaldo, soleva ripetere - dove ben presto si segnal? per le sue doti non comuni : una cultura profonda ed una invidiabile facilit? di esposizione. Erano gli anni in cui mise su famiglia, scriveva, componeva musica al pianoforte, che suonava benissimo ad orecchio, era pienamente impegnato in vari campi. Appassionato di arte e di musica - suo continuo cruccio ? stato quello di non essersi iscritto al Conservatorio - era corteggiato in tutti gli ambienti. Si muoveva con estrema padronanza in qualsiasi contesto, essendosi formato alla scuola del "marciapiedi" e dei salotti eleganti, praticando disinvoltamente i vicoli lerci di una Napoli decadente e gli splendidi musei e le biblioteche di una ex Capitale, i quartieri-ghetto e quelli residenziali. In redazione, a detta dei responsabili, era capace di svolgere in poco tempo il lavoro che impegnava i suoi colleghi per un?intera giornata. Era una persona che ragionava di testa sua e, quindi, difficilmente influenzabile. Insofferente per natura a qualsiasi forma di inquadramento in schemi precostituiti, ben presto ebbe vita difficile nell?ambiente di lavoro.
Licenziato da "Il Mattino" una prima volta e poi reintegrato per ordine del Giudice, fu licenziato una seconda volta nel ?79 con la motivazione di "un chiaro dissenso alla linea politica del giornale". La verit? ? che oramai era diventato un personaggio scomodo per tutti. Senza peli sulla lingua, come suo costume, attraverso un?emittente privata, nella sua trasmissione "Il Tormentone", si pose in una posizione di forte contrasto con la propriet? del Mattino, la milanese Edime di Rizzoli e col direttore Responsabile Ciuni. Era il tempo in cui venivano resi noti i nominativi degli appartenenti alla Loggia massonica P2, tra i quali, appunto, Rizzoli e Ciuni, e naturalmente Angelo non perdette l?occasione di diramare, a suo modo, la notizia sottolineando lo stato di degrado del "suo" giornale, dal quale ovviamente n? Lui, n? il Mezzogiorno si sentivano pi? rappresentati. Lasciato il Mattino, prosegu? la sua battaglia con il Tormentone, una serie di trasmissioni auto-gestite, con cadenza settimanale, con le quali si schierava apertamente contro i politici corrotti, facendo nomi e richiamando puntualmente le situazioni, ponendosi cos? come una sorta di precursore di "mani pulite". Voleva moralizzare il mondo, esponendosi in prima persona, con un atteggiamento da guascone che tanto piaceva a chi l?ascoltava. Rischi ne ha corsi tanti ? il "potere" per tentare di distruggerlo, lo accus? persino di camorra costruendo artatamente una schiera di "pentiti" ? ma Lui, testardo come un asino, proseguiva diritto per la sua strada, con un coraggio misto ad incoscienza ma sempre con encomiabile coerenza. Aveva un indice di ascolto altissimo perch? il suo eloquio era accessibile a tutti ? anche a Peppenella, "a contrabbandiera d? ?o puntone" come amava ripetere - tanto che presentandosi alle elezioni politiche del 1983, in un partito allora di minoranza, riport? oltre 83 mila voti di preferenza suscitando, peraltro, il disappunto del suo capolista al quale, evidentemente, faceva ombra? ? ? |
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Storia di Oricola... Reazione borbonica |
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STORIA DI ORICOLA... Reazione borbonica Testi liberamente tratti dal libro Oricolae Contrada Carseolana nella storia di Nostra Gente I partigiani della dinastia borbonica, con il miraggio di riconquistare il regno, con la rivoluzione, sobillavano, specie nel ceto del contadini della Calabria, del Molise e dell'Abruzzo, per la insurrezione contro il nuovo regime. Tale reazione venne a prendere serio sviluppo, in questi luoghi, per opera del colonnello borbonico Lagrange e di quel tal Giacomo Giorgi di Tagliacozzo, che si era posto a capo degli sconvolgimenti politici, nella regione Marsicana e cicolanense. Celebri furono le bande di legittimisti, fiorite nel vicino Cicolano, che contarono sino a tremila uomini le cui gesta tanto bene e minuziosamente venivano raccontate dal dottor Longini nelle sue Memorie storiche della regione equicola. Nella storia, i fatti non si improvvisano e non si creano, nè può l'immaginazione supplirne le deficienze, con elevati voli pindarici: quindi senza vestirmi delle penne di pavone, che tanto facilmente mi si potrebbero togliere di dosso, son ben lieto di dichiarare che da detto e da molti altri autori attinsi e ebbi gli elementi di quanto vado scrivendo. Le bande dei legittimisti del Cicolano, per lo più prendevano per punto di concentramento Fiamigiano, sotto il comando di Giuseppe di Giovanni di Colle Giudeo, di Giacomo Saporetti e di Fiore Sallustio di Sambuco, di Aurelio Ricciardi di Castagneta e di Girolamo Di Girolano di Tonnicoda. Il colonnello borbonico Luverà, con un esercito di tremila uomini, dallo Stato pontificio, transitato il nostro agro e il Carseolano, aveva proseguito verso Tagliacozzo. Col gli tenne fronte, , il maggiore Pietro Ferrero il 12 gennaio 1861, con due compagnie di appena duecentodieci soldati, il quale dopo aver causate gravi perdite , con un'ordinata ritirata, si ritrasse in Avezzano. Il 13 gennaio, i borbonici furono messi in fuga, dopo un accanito scontro, in Scurcola Marsicana, dall'esercito presidiario di Avezzano. In conseguenza di che il giorno successivo vennero fucilati settanta ledittimisti, rinvenuti in quel paese, fra i quali uno di Oricola a nome Francesco Filippi fu Benedetto, alias Valechetta, di anni 34. Questi seguendo il Luverà, aveva gettata la propria vanga, in contrada Spineta, di questo territorio, ove si era recato a lavoro, dicendo: "o libertà o morte". Un altro contadino di Oricola, Stefano Ciaffi,seguì il Luvarà , che si aggirava in questi luoghi, allo scopo appunto di fomentare una reazione, contro il regime italiano, ne aveva seguito l'esercito. Ma a Scurcola Marsicana, avvisato in tempo da un tal Fumera della vicina Poggio Cinolfo, con le parole: "Alza i tacchi Stefano" si dava a precipitosa fuga; e alzando veramente i tacchi, insieme al preveggente compagno, si restitui, con la celerità della folgore in residenza, allontanando, per sempre, il pensiero reazionario. Dopo i raccontati avvenimenti, parte degli insorti tornarono ai propri luoghi e parte a Tagliacozzo, da dove per timore di essere assaliti, si ritirarono a Carsoli. Da li il generale ebbe l'idea d'impadronirsi della vicina Collalto, che, situata sulla cima di un monte e munita di una valida rocca cinta di mura, offriva un sicuro asilo di difesa. Con tale intenzione, il 12 febbraio 1861, mandò duecento uomini, con l'incarico di impadronirsene di sorpresa. Ma quella popolazione, prevedendo il caso, aveva sbarrate le due porte del paese: da qui la necessità degli inviati, di tornare prudentemente indietro. Il Luverà, non volendo rinunciare al piano prestabilito, il giorno successivo, postosi alla testa di 1500, tra reazionari, borbonici e zuavi pontifici, marciava su Collalto, i cui cittadini,narcotizzati dalla illusione unitaria italiana si posero sul castello con fucili e sassi,ed opposero viva resistenza. In un torrione del muro di cinta, vi era un'apertura appena sufficiente per il passaggio di una persona, e lì collaltesi avevano posto a guardia quattro robusti giovani armati di scure, con l'ingiunzione di uccidere quanti nemici ardissero varcare quel passo. Si accese un aspro fuoco di fucileria; parecchi borbonici vi rimasero uccisi, altri feriti; ma i collaltesi lasciati alla custodia del torrione perforato, invasi da panico, abbandonarono il posto di consegna, dando adito a una diecina di nemici di penetrare nell'interno del muro di cinta e di aprire una delle porte d'accesso. Entrati immediatamente in paese i borbonici trovarono che gli abitanti si erano riuniti nella Chiesa parrocchiale, con la speranza venisse rispettato il sacro tempio. Don Antonio Latini, parroco del luogo, con il crocifisso in mano e il suo germano dottor Bartolomeo, sventolando un fazzoletto bianco, chiedevano pace per tutto il popolo. Ma i borbonici, esplosero una fucilata in pieno petto al dottore, che rimaneva fulminato a terra. Successivamente si recarono nel castello, ove ne uccisero il guardiano che risultava come accanito liberale, nèvenne fatto pultiglia informe, con ripetuti colpi di baionetta. Dopo di che, avendo avuto sentore della resa di Gaeta, piombarono su Oricola, posta sui confini del regno e perciò asscurata la loro salvezza in caso di avversario assalto. All'arrivo delle truppe italiane, Luvarà riparò ello Stato romano. In queste contrade si ebbe una reazione nella vicina Pereto. Ricorreva in quel paese, nella prima domenica di Ottobre del 1860, la festivitàdella Madonna del Rosario e in quella circostanza, quindici militi della guardia nazionale di Carsoli, con a capo il capitano Luigi Marj, vi si erano recati. Mentre questi si trovavano in casa di Elia Penna, che allora era diventato uno dei più cospicui proprietari del luogo, vennero fatti segno a una clamorosa dimostrazione ostile. Nella falsa idea di non provocare quella popolazione, commisero l'errore di uscire, nella sottostante via, senza armi e furono malmenati dai borbonici. I giovani, chi più chi meno feriti, riuscirono a salvarsi con la fuga, ma un tal Benedetto De Luca filogaribaldino, di anni 50, entro l'abitato in Via del Selciato, vi rimase vittima. Come pure Luigi Marj, di anni 52, appartenente alla primaria famiglia del Mandamento, riuscito a svincolarsi, data la sua forza erculea, fuggì, ma raggiunto a circa mezzo chilometro dal paese, nella località Isola, fu sopraffatto dal numero e, con una vera lapidazione, ucciso. |
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I lager risorgimentali di Stefania Maffeo - 12/06/2006
Fonte: centrostudifederici
Migliaia di soldati borbonici nei lager del Nord Dopo la conquista del Sud, 5212 condanne a morte.
Prigionieri e ribelli puniti con decreti e una legge del 1863
Cinquemiladuecentododici condanne a morte, 6564 arresti, 54 paesi rasi al suolo, 1 milione di morti. Queste le cifre della repressione consumata all'indomani dell'Unità d'Italia dai Savoia. La prima pulizia etnica della modernità occidentale operata sulle popolazioni meridionali dettata dalla Legge Pica, promulgata dal governo Minghetti del 15 agosto 1863 " per la repressione del brigantaggio nel Meridione? 1. Questa legge istituiva, sotto l'egida savoiarda, tribunali di guerra per il Sud ed i soldati ebbero carta bianca, le fucilazioni, anche di vecchi, donne e bambini, divennero cosa ordinaria e non straordinaria. Un genocidio la cui portata è mitigata solo dalla fuga e dall'emigrazione forzata, nell'inesorabile comandamento di destino: "O briganti, o emigranti". Lemkin, che ha definito il primo concetto di genocidio, sosteneva: " genocidio non significa necessariamente la distruzione immediata di una nazione esso intende designare un piano coordinato di differenti azioni miranti a distruggere i fondamenti essenziali della vita dei gruppi nazionali. Obiettivi di un piano siffatto sarebbero la disintegrazione delle istituzioni politiche e sociali, della cultura, della lingua, dei sentimenti nazionali, della religione e della vita economica dei gruppi nazionali e la distruzione della sicurezza personale, della libertà, della salute, della dignità e persino delle vite degli individui non a causa delle loro qualità individuali, ma in quanto membri del gruppo nazionale". Deportazioni, l'incubo della reclusione, persecuzione della Chiesa cattolica, profanazioni dei templi, fucilazioni di massa, stupri, perfino bambine (figlie di "briganti") costretti ai ferri carcerari. ( Una pagina non ancora scritta è quella relativa alle carceri in cui furono rinchiusi i soldati "vinti". Il governo piemontese dovette affrontare il problema dei prigionieri, 1700 ufficiali dell'esercito borbonico (su un giornale satirico dell'epoca era rappresentata la caricatura dell'esercito borbonico: il soldato con la testa di leone, l'ufficiale con la testa d'asino, il generale senza testa) e 24.000 soldati, senza contare quelli che ancora resistevano nelle fortezze di Gaeta, Messina e Civitella del Tronto. Ma il problema fu risolto con la boria del vincitore, non con la pietas che sarebbe stata più utile, forse necessaria. Un primo tentativo di risolvere il problema ci fu con il decreto del 20 dicembre 1860, anche se le prime deportazioni dei soldati duosiciliani incominciarono già verso ottobre del 1860, in quanto la resistenza duosiciliana era iniziata con episodi isolati e non coordinati nell'agosto del 1860, dopo lo sbarco dei garibaldini e dalla stampa fu presentata come espressione di criminalità comune. Il decreto chiamava alle armi gli uomini che sarebbero stati di leva negli anni dal 1857 al 1860 nell'esercito delle Due Sicilie, ma si rivelò un fallimento. Si presentarono solo 20.000 uomini sui previsti 72.000; gli altri si diedero alla macchia e furono chiamati "briganti". A migliaia questi uomini furono concentrati dei depositi di Napoli o nelle carceri, poi trasferiti con il decreto del 20 gennaio 1861, che istituì "Depositi d'uffiziali d'ogni arma dello sciolto esercito delle Due Sicilie". (La Marmora ordinò ai procuratori di "non porre in libert? nessuno dei detenuti senza l'assenso dell'esercito". (Per la maggior parte furono stipati nelle navi peggio degli animali (anche se molti percorsero a piedi l'intero tragitto) e fatti sbarcare a Genova, da dove, attraversando laceri ed affamati la via Assarotti, venivano smistati in vari campi di concentramento istituiti a Fenestrelle, S. Maurizio Canavese, Alessandria, nel forte di S. Benigno in Genova, Milano, Bergamo, Forte di Priamar presso Savona, Parma, Modena, Bologna, Ascoli Piceno ed altre località del Nord. Presso il Forte di Priamar fu relegato l'aiutante maggiore Giuseppe Santomartino, che difendeva la fortezza di Civitella del Tronto. Alla caduta del baluardo abruzzese, Santomartino fu processato dai (vincitori) Piemontesi e condannato a morte. In seguito alle pressioni dei francesi la condanna fu commutata in 24 anni di carcere da scontare nel forte presso Savona. Poco dopo il suo arrivo, una notte, fu trovato morto, lasciando moglie e cinque figli. Si disse che aveva tentato di fuggire. Un esempio di morte sospetta su cui non fu mai aperta un'inchiesta per accertare le vere cause del decesso. In quei luoghi, veri e propri lager, ma istituiti per un trattamento di "correzione ed idoneit? al servizio", i prigionieri, appena coperti da cenci di tela, potevano mangiare una sozza brodaglia con un po' di pane nero raffermo, subendo dei trattamenti veramente bestiali, ogni tipo di nefandezze fisiche e morali. Per oltre dieci anni, tutti quelli che venivano catturati, oltre 40.000, furono fatti deliberatamente morire a migliaia per fame, stenti, maltrattamenti e malattie. Quelli deportati a Fenestrelle 2, fortezza situata a quasi duemila metri di altezza, sulle montagne piemontesi, sulla sinistra del Chisone, ufficiali, sottufficiali e soldati (tutti quei militari borbonici che non vollero finire il servizio militare obbligatorio nell'esercito sabaudo, tutti quelli che si dichiararono apertamente fedeli al Re Francesco II, quelli che giurarono aperta resistenza ai piemontesi) subirono il trattamento più feroce. Fenestrelle più che un forte, era un insieme di forti, protetti da altissimi bastioni ed uniti da una scala, scavata nella roccia, di 4000 gradini. Era una ciclopica cortina bastionata cui la naturale asperità dei luoghi ed il rigore del clima conferivano un aspetto sinistro. Faceva tanto spavento come la relegazione in Siberia. I detenuti tentarono anche di organizzare una rivolta il 22 agosto del 1861 per impadronirsi della fortezza, ma fu scoperta in tempo ed il tentativo ebbe come risultato l'inasprimento delle pene con i più costretti con palle al piede da 16 chili, ceppi e catene. Erano stretti insieme assassini, sacerdoti, giovanetti, vecchi, miseri popolani e uomini di cultura. Senza pagliericci, senza coperte, senza luce. Un carcerato venne ucciso da una sentinella solo perchè aveva proferito ingiurie contro i Savoia. Vennero smontati i vetri e gli infissi per rieducare con il freddo i segregati. Laceri e poco nutriti era usuale vederli appoggiati a ridosso dei muraglioni, nel tentativo disperato di catturare i timidi raggi solari invernali, ricordando forse con nostalgia il caldo di altri climi mediterranei. Spesso le persone imprigionate non sapevano nemmeno di cosa fossero accusati ed erano loro sequestrati tutti i beni. Spesso la ragione per cui erano stati catturati era proprio solo per rubare loro il danaro che possedevano. Molti non erano nemmeno registrati, sicchè solo dopo molti anni venivano processati e condannati senza alcuna spiegazione logica. Pochissimi riuscirono a sopravvivere: la vita in quelle condizioni, anche per le gelide temperature che dovevano sopportare senza alcun riparo, non superava i tre mesi. E proprio a Fenestrelle furono vilmente imprigionati la maggior parte di quei valorosi soldati che, in esecuzione degli accordi intervenuti dopo la resa di Gaeta, dovevano invece essere lasciati liberi alla fine delle ostilità. (Dopo sei mesi di eroica resistenza dovettero subire un trattamento infame che incominciò subito dopo essere stati disarmati, venendo derubati di tutto e vigliaccamente insultati dalle truppe piemontesi. (La liberazione avveniva solo con la morte ed i corpi (non erano ancora in uso i forni crematori) venivano disciolti nella calce viva collocata in una grande vasca situata nel retro della chiesa che sorgeva all'ingresso del Forte. Una morte senza onore, senza tombe, senza lapidi e senza ricordo, affinchè non restassero tracce dei misfatti compiuti. Ancora oggi, entrando a Fenestrelle, su un muro è ancora visibile l'iscrizione: "Ognuno vale non in quanto è ma in quanto produce". Non era più gradevole il campo impiantato nelle "lande di San Martino" presso Torino per la "rieducazione" dei militari sbandati, rieducazione che procedeva con metodi di inaudita crudelt?. Così, in questi luoghi terribili, i fratelli "liberati", maceri, cenciosi, affamati, affaticati, venivano rieducati e tormentati dai fratelli "liberatori". Altre migliaia di "liberati" venivano confinati nelle isole, a Gorgonia, Capraia, Giglio, all'Elba, Ponza, in Sardegna, nella Maremma malarica. Tutte le atrocità che si susseguirono per anni sono documentate negli Atti Parlamentari, nelle relazioni delle Commissioni d'Inchiesta sul Brigantaggio, nei vari carteggi parlamentari dell'epoca e negli Archivi di Stato dei capoluoghi dove si svolsero i fatti. Francesco Proto Carafa, duca di Maddaloni, sosteneva in Parlamento: "Ma che dico di un governo che strappa dal seno delle famiglie tanti vecchi generali, tanti onorati ufficiali solo per il sospetto che nutrissero amore per il loro Re sventurato, e rilegagli a vivere nelle fortezze di Alessandria ed in altre inospitali terre del Piemonte Sono essi trattati peggio che i galeotti. Perchè il governo piemontese abbia a spiegar loro tanto lusso di crudeltà Perchè abbia a torturare con la fame e con l'inerzia e la prigione uomini nati in Italia come noi?". Ma della mozione presentata non fu autorizzata la pubblicazione negli Atti Parlamentari, vietandosene la discussione in aula 3. Il generale Enrico Della Rocca, che condusse l'assedio di Gaeta, nella sua autobiografia riporta una lettera alla moglie, in cui dice: "Partiranno, soldati ed ufficiali, per Napoli e Torino...", precisando, a proposito della resa di Capua, "...le truppe furono avviate a piedi a Napoli per essere trasportate in uno dei porti di S.M. il Re di Sardegna. Erano 11.500 uomini"4. Alfredo Comandini, deputato mazziniano dell'et? giolittiana, che compilò "L'Italia nei Cento Anni (1801-1900) del secolo XIX giorno per giorno illustrata", riporta un'incisione del 1861, ripresa da "Mondo Illustrato" di quell'anno, raffigurante dei soldati borbonici detenuti nel campo di concentramento di S. Maurizio, una località sita a 25 chilometri da Torino. Egli annota che, nel settembre del 1861, quando il campo fu visitato dai ministri Bastogi e Ricasoli, erano detenuti 3.000 soldati delle Due Sicilie e nel mese successivo erano arrivati a 12.447 uomini. Il 18 ottobre 1861 alcuni prigionieri militari e civili capitolati a Gaeta e prigionieri a Ponza scrissero a Biagio Cognetti, direttore di "Stampa Meridionale", per denunciare lo stato di detenzione in cui versavano, in palese violazione della Capitolazione, che prevedeva il ritorno alle famiglie dei prigionieri dopo 15 giorni dalla caduta di Messina e Civitella del Tronto ed erano già trascorsi 8 mesi. Il 19 novembre 1861 il generale Manfredo Fanti inviava un dispaccio al Conte di Cavour chiedendo di noleggiare all'estero dei vapori per trasportare a Genova 40.000 prigionieri di guerra. Cavour così scriveva al luogotenente Farini due giorni dopo: "Ho pregato La Marmora di visitare lui stesso i prigionieri napoletani che sono a Milano", ammettendo, in tal modo, l'esistenza di un altro campo di prigionia situato nel capoluogo lombardo per ospitare soldati napoletani. Questa la risposta del La Marmora: "non ti devo lasciar ignorare che i prigionieri napoletani dimostrano un pessimo spirito. Su 1600 che si trovano a Milano non arriveranno a 100 quelli che acconsentono a prendere servizio. Sono tutti coperti di rogna e di verminia e quel che più dimostrano avversione a prendere da noi servizio. Jeri a taluni che con arroganza pretendevano aver il diritto di andare a casa perchè non volevano prestare un nuovo giuramento, avendo giurato fedeltà a Francesco Secondo, gli rinfacciai altamente che per il loro Re erano scappati, e ora per la Patria comune, e per il Re eletto si rifiutavano a servire, che erano un branco di carò che avessimo trovato modo di metterli alla ragione". Le atrocità commesse dai Piemontesi si volsero anche contro i magistrati, i dipendenti pubblici e le classi colte, che resistettero passivamente con l'astensione ai suffragi elettorali e la diffusione ad ogni livello della stampa legittimista clandestina contro l'occupazione savoiarda. Particolarmente eloquente è anche un brano tratto da Civiltà Cattolica: "Per vincere la resistenza dei prigionieri di guerra, già trasportati in Piemonte e Lombardia, si ebbe ricorso ad un espediente crudele e disumano, che fa fremere. Quei meschinelli, appena coperti da cenci di tela, rifiniti di fame perchè tenuti a mezza razione con cattivo pane ed acqua ed una sozza broda, furono fatti scortare nelle gelide casematte di Fenestrelle e d'altri luoghi posti nei più aspri luoghi delle Alpi. Uomini nati e cresciuti in clima sì caldo e dolce, come quello delle Due Sicilie, eccoli gittati, peggio che non si fa coi negri schiavi, a spasimare di fame e di stento per le ghiacciaie". Ancora possiamo leggere dal diario del soldato borbonico Giuseppe Conforti, nato a Catanzaro il 14.3.1836 (abbreviato per amor di sintesi): "Nella mia uscita fu principio la guerra del 1860, dopo questa campagna che per aver tradimenti si sono perduto tutto e noi altri povere soldati manggiando erba dovettimo fuggire, aggiunti alla provincia della Basilicata sortì un prete nemico di Dio e del mondo con una porzione di quei giudei e ci voleva condicendo che meritavamo di essere uccisi per la fedeltà che avevamo portato allo notro patrone. Ci hanno portato innanzi a un carnefice Piemontesa condicendo perchè aveva tardato tanto ad abbandonare quell'assassino di Borbone. Io li sono risposto che non poteva giammai abbandonarlo perchè aveva giurato fedeltà a lui e lui mi à ditto che dovevo tornare indietro asservire sotto la Bandiera d' Italia. Il terzo giorno sono scappato, giunto a Girifarchio dove teneva mio fratello sacerdote vedendomi redutto a quello misero stato e dicendo mal del mio Re io li risposi che il mio Re no aveva colpa del nostri patimenti che sono stato le nostri soperiori traditori; siamo fatto questioni e lo sono lasciato". "Allo mio paese sono stato arrestato e dopo 7 mesi di scurre priggione mi anno fatto partire per il Piemonte. Il 15 gennaio del 1862 ci anno portato affare il giuramento, in quello stesso anno sono stato 3 volte all'ospidale e in pregiona a pane e accua. Principio del 1863 fuggito da sotto le armi di vittorio, il 24 sono giunto in Roma, il giorno 30 sono andato alludienza del mio desiderato e amato dal Re', Francesco 2 e li raccontato tutti i miei ragioni" 5. Un ulteriore passo avanti nella studio di questa fase poco "chiara" del post unificazione è stato fatto recentemente, quando un ricercatore trovò dei documenti presso l'Archivio Storico del Ministero degli Esteri attestanti che, nel 1869, il governo italiano voleva acquistare un'isola dall'Argentina per relegarvi i soldati napoletani prigionieri, quindi dovevano essere ancora tanti 6. (Questi uomini del Sud finirono i loro giorni in terra straniera ed ostile, certamente con il commosso ricordo e la struggente nostalgia della Patria lontana. Molti di loro erano poco più che ragazzi 7. Era la politica della criminalizzazione del dissenso, il rifiuto di ammettere l'esistenza di valori diversi dai propri, il rifiuto di negare ai "liberati" di credere ancora nei valori in cui avevano creduto. I combattenti delle Due Sicilie, i soldati dell'ex esercito borbonico ed i tanti civili detenuti nei "lager dei Savoia", uomini in gran parte anonimi per la pallida memoria che ne è giunta fino a noi, vissero un eroismo fatto di gesti concreti, ed in molti casi ordinari, a cui non è estraneo chiunque sia capace di adempiere fedelmente il proprio compito fino in fondo, sapendo opporsi ai tentativi sovvertitori, con la libertà interiore di chi non si lascia asservire dallo "spirito del tempo".
NOTE 1 - Legge Pica: (" Art.1: Fino al 31 dicembre nelle province infestate dal brigantaggio, e che tali saranno dichiarate con decreto reale, i componenti comitiva, o banda armata composta almeno di tre persone, la quale vada scorrendo le pubbliche strade o le campagne per commettere crimini o delitti, ed i loro complici, saranno giudicati dai tribunali militari; (Art.2: I colpevoli del reato di brigantaggio, i quali armata mano oppongono resistenza alla forza pubblica, saranno puniti con la fucilazione; (Art.3: Sarà accordata a coloro che si sono già costituiti, o si costituiranno volontariamente nel termine di un mese dalla pubblicazione della presente legge, la diminuzione da uno a tre gradi di pena; (Art.4: Il Governo avrà inoltre facoltà di assegnare, per un tempo non maggiore di un anno, un domicilio coatto agli oziosi, ai vagabondi, alle persone sospette, secondo la designazione del Codice Penale, nonch? ai manutengoli e camorristi; (Art.5: In aumento dell'articolo 95 del bilancio approvato per 1863 aperto al Ministero dell'Interno il credito di un milione di lire per sopperire alle spese di repressione del brigantaggio. (Fonte: Atti parlamentari. Camera dei Deputati) 2 - Il luogo non era nuovo a situazioni del genere perchè già Napoleone se ne era servito per detenervi i prigionieri politici ed un illustre napoletano, Don Vincenzo Baccher, il padre degli eroici fratelli realisti fucilati dalla Repubblica Partenopea il 13 giugno del 1799, che vi aveva passato 9 anni, dal 1806 al 1815, tornando a Napoli alla venerabile et? di 82 anni. 3 - Giovanni De Matteo, Brigantaggio e Risorgimento - legittimisti e briganti tra i Borbone ed i Savoia, Guida Editore, Napoli, 2000. 4 - Questa informazione e tutte le seguenti sono state reperite nei saggi "I campi di concentramento", di Francesco Maurizio Di Giovine, nella rivista L'Alfiere, Napoli, novembre 1993, pag. 11 e "A proposito del campo di concentramento di Fenestrelle", dello stesso autore, pubblicato su L'Alfiere, dicembre 2002, pag. 8. 5 - Fulvio Izzo, I Lager dei Savoia, Controcorrente, Napoli 1999. 6 - S. Grilli, Cayenna all'italiana, Il Giornale, 22 marzo 1997. 7 - Sul sito Fonte: http://www.cronologia.it/storia/a1863b.htm |
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l'Isola Ferdinandea,è un isolotto vulcanico emerso al largo della Sicilia e sprofondato più volte, attorno al quale è persino sorta una disputa territoriale tra ben tre nazioni. Tra il 28 giugno e il 17 luglio 1831 delle violente scosse di terremoto sconvolsero la costa sud-occidentale della Sicilia sollevando impressionanti onde anomale e colonne di fumo dal mare, che ribolliva con violenza uccidendo i pesci. Il 17 luglio emerse dal mare anche una nuova isola, costituita dalla bocca di un vulcano sommerso, che crebbe rapidamente con l'accumulo di materiali eruttivi. Si trovava sul banco detto dai Siciliani Secca di Mare o Secca del Corallo e dagli inglesi di Malta Banco di Graham, circa 30 miglia a sud di Sciacca. Partì proprio da Sciacca la prima delegazione in perlustrazione e il comandante della spedizione, Michele Fiorini, piantò sull'isola un remo in segno di primo scopritore. Nell'agosto, al cessare delle eruzioni, l'isola misurava una circonferenza di 4800 metri e raggiungeva un'altezza massima di 70 metri sul livello del mare, con ben due laghetti di acqua salata e acida al centro dei crateri che l'avevano generata. Non appena si diffuse la notizia dell'apparizione del piccolo lembo di terra, si susseguirono le visite da parte di vari studiosi, tra cui il prof. Karl Hoffman, geologo dell'Università di Berlino, il fisico Domenico Scinò, il prof. Carlo Gemellaro, docente di Storia Naturale presso l'Università di Catania. L'isoletta suscitò anche l'interesse di alcune potenze straniere alla ricerca di avamposti strategici per gli approdi delle loro flotte mercantili e militari. Così il 2 agosto l'Inghilterra prese possesso dell'isola chiamandola "Graham", suscitando le proteste dei siciliani e dello scopritore capitano Corrao. Il 26 settembre anche la Francia inviò un brigantino con a bordo il geologo Constant Prèvost e il pittore Edmond Joinville, che realizzò i disegni dell'isola, per compiere rilievi e ricognizioni che evidenziarono frane sul terreno e pronosticarono il prossimo inabissamento dell'isola. Come gli inglesi, anche i francesi non avevano chiesto alcun permesso al re Ferdinando II di Borbone, quale legittimo proprietario dell'isola, essendo questa sorta nella acque siciliane. Anzi i francesi la ribattezzarono "Iulia" in riferimento alla sua comparsa avvenuta nel mese di luglio, poi posero una targa a futura memoria e innalzarono sul punto più alto la bandiera francese. Allora Ferdinando II inviò sul posto il capitano Corrao il quale, sceso sull'isola, piantò la bandiera borbonica battezzando l'isola "Ferdinandea" in onore del sovrano. Sembrava che l'evento non suscitasse altro clamore, invece giunse sul posto la marina britannica e fu deciso di rimettere la questione ai rispettivi governi. Dopo poco tempo il pronostico francese cominciò ad avverarsi. I flutti iniziarono quindi a erodere poco a poco l'isola, mentre a fine ottobre del 1831 il governo borbonico prendeva posizione ufficiale ricordando ai governi di Gran Bretagna e Francia che a norma del diritto internazionale la nuova terra apparteneva alla Sicilia. A quanto sembra però i due governi non risposero, e iniziarono le rivalità fra le due nazioni, entrambe interessate a favorire le loro posizioni strategiche nel Mediterraneo. Il 7 novembre un capitano inglese misurò di nuovo l'isola, che risultò ridotta ad un quarto di miglio con un'altezza di venti metri. Il 16 novembre si scorgevano soltanto piccole porzioni e l'8 dicembre un capitano siciliano ne costatò la scomparsa, mentre alcune colonne d'acqua si alzavano e si abbassavano. Dell'isola rimaneva un vasto banco di roccia lavica, che attualmente viene indicato nelle carte nautiche come "il banco Graham", a 24 miglia a nord-est di Pantelleria.L'isolotto è poi riapparso nuovamente nel 1846 e nel 1863, per poi scomparire dopo pochi giorni. Il terremoto del Belice (1968), le acque circostanti il Banco di Graham ribollirono, ma l'isola non riemerse, anche se accorsero a distanza alcune navi britanniche della flotta del Mediterraneo. A scanso di equivoci i siciliani posero sulla superfice del banco Graham una targa in pietra tra le cui righe si legge "Questo lembo di terra, un tempo l'Isola Ferdinandea, era e sarà sempre del popolo siciliano". Il vulcano rimase quindi dormiente con la cima circa 8 m sott'acqua e nel 1986 fu erroneamente scambiato per un sottomarino libico dalla U.S. Air Force e colpito da un missile. Nel 2002 una rinnovata attività sismica nella zona fece presagire una nuova apparizione dell'isola, ma nulla accadde. Oggi il diritto internazionale è lontano dalle concezioni classiche sull'acquisto della sovranità territoriale mediante occupazione simbolica dopo la scoperta con l'apposizione della bandiera. Soprattutto nel nuovo diritto del mare vigono oggi principi molto diversi da quelli del 1831, basati sul concetto di piattaforma continentale, cioè di quella parte del fondo e sottofondo marino che costituisce il prolungamento della terra emersa e che si mantiene a profondità costante prima di precipitare negli abissi. I diritti dello Stato costiero sulla propria piattaforma continentale appartengono quindi ad esso senza bisogno di alcuna proclamazione. Questi diritti sono inoltre esclusivi, nel senso che nessuno può svolgere attività di esplorazione o sfruttamento sulla piattaforma continentale senza l'autorizzazione dello Stato costiero. |
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