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Risorgimento
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Divario Sud/Nord:hanno ragione i neoborbonici |
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E’ stato appena pubblicato un volume a cura dello SVIMEZ: “150 anni di statistiche italiane: Nord e Sud 1861-2011”. Secondo la recensione del Sole 24 Ore conterrebbe “grafici e statistiche che annichiliscono le discussioni, spesso venate di ideologia, fra neoborbonici e nordisti con tendenze anti-unitarie”. In realtà conferma, al contrario, che i “neoborbonici” avevano e hanno ragione quando rivendicano la necessità di ricostruire la storia dell’unificazione italiana in maniera seria ed obiettiva e lontana dalla retorica e (questa volta sì) dalle “ideologie” o patriottico-risorgimentalistiche o nordiste. Il primo dato è quello diffuso già nei recenti studi a cura del CNR e dell’Università di Catanzaro: all’atto dell’unificazione non esistevano differenze nel PIL e nella capacità di creare ricchezza negli stati preunitari (con buona pace di intere generazioni di intellettuali ufficiali che hanno sempre sostenuto la tesi della “arretratezza del Regno delle Due Sicilie”). Solo dopo l’unificazione il PIL diventa diverso “fino a stabilizzarsi in una forchetta compresa fra il 50% e il 60% rispetto al Centro-Nord” (con buona pace degli stessi intellettuali che hanno esaltato tutti gli innumerevoli vantaggi derivati dall’unificazione presso i popoli meridionali). Secondo dato: nel 1861 gli addetti impegnati nell’industria meridionale sono 1,25 milioni: la percentuale della popolazione attiva che si dedica alla manifattura [nell’ “arretratissimo Regno dei Borbone”] è addirittura superiore con il 22,8%, contro il 15,5 per cento del Centro-Nord”. Altro dato significativo e drammatico: “in centocinquanta anni, l’industria al Sud non supera gli 1,7 milioni di occupati mentre nel resto dell'Italia si arriva in maniera graduale a 5,8 milioni. Al Sud, quasi che il tempo si sia fermato, continua oggi a lavorare nella manifattura una persona su cinque. Come centocinquanta anni fa”. Soprende poco, allora, che le banche si riducano progressivamente nel Sud per aumentare al Nord (fino al recente smantellamento del Banco di Napoli). E sorprende poco anche che la differenza tra le linee ferroviarie si assesti oggi, dopo 150 anni, “a 46,6 chilometri al Sud rispetto ai 61 chilometri ogni mille chilometri quadrati del Centro-Nord” (e c’è ancora chi fa risalire ai Borbone il “gap ferroviario” dimenticando che si preferirono già a quel tempo “le vie del mare” con lungimiranza e per ovvie necessità territoriali). Si chiude con delle considerazioni quanto mai attuali e legate ad uno dei temi ricorrenti nei cosiddetti “ambienti neoborbonici”: il Sud diventò il mercato del Nord, come confermano lo stesso Sole e lo SVIMEZ: “senza i consumatori del Sud, le merci del Nord sarebbero potute andare soltanto al di là delle Alpi” o, in maniera ancora più chiara e definitiva: “non sarà un caso se, oggi, il 40% di quanto si produce al Nord finisca al Sud e se il 63% di ciò che si spende al Sud vada al Nord”. E decisamente non possiamo che concordare sulla scarsa casualità di certi dati che andrebbero riferiti a chi punta il dito contro il “Sud che spreca i soldi del Nord”. Il Sole 24 Ore, infine, si pone una domanda (senza rispondersi) che lascia alquanto sconcertati: “per quale ragione il divario fra il Sud e il resto del Paese cresce?”. Forse per le scelte scellerate dei governi nord-centrici con la complicità colpevole e interessata (e forse senza alternative) delle classi dirigenti meridionali? Forse vorrà dire qualcosa che da allora ad oggi “l’industrializzazione del Sud è segnata dalla prevalenza della politica sull’economia e dalla presa dei partiti sui grandi gruppi pubblici”?Risarcimenti, secessionismi, nostalgismi, antiunitarismi o terronismi? Tutto secondario: si tratta solo di raccontare la verità storica a quanti continuano a non rappresentare il Sud in maniera dignitosa e concreta nel nome dell’Italia unita o delle fantasiose teorie del “Sud palla al piede” o “saccheggiatore del Nord” (come sostenuto dai Ricolfi, dai leghisti della prima e dell’ultima ora ma anche da molti opinionisti e politici di destra e di sinistra, del Nord o, addirittura, del Sud...). Se non partiamo da questi dati non possiamo progettare quella reale “par condicio” Nord-Sud auspicata da chi davvero ama la nostra terra e non formeremo mai quelle classi dirigenti adeguate che aspettiamo da un secolo e mezzo. |
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Il 20 marzo 1861 si
consumò nella fortezza di Civitella del Tronto, nella provincia di Abruzzo
Ultra I, l’ultima resistenza dell’esercito delle Due Sicilie di fronte alla
barbara invasione sabauda. Se a Gaeta le migliaia di bombe quotidiane aveva
costretto alla resa, se a Messina l’impari duello di artiglieria aveva messo
fine all’eroismo di Fergola, a Civitella è necessario l’imbroglio, la
corruzione e il ricatto per fiaccare lo spirito di resistenza degli ultimi
soldati borbonici in armi per la propria Patria. Anche nell’Abruzzo estremo non
si trovarono bandiere da esporre quale trofei per la loro frammentazione tra i
difensori al fine di sottrarle all’odiato nemico. Ma, a differenza delle altre
due fortezze, i soldati duosiciliani non furono solo imprigionati per essere
poi quasi tutti deportati a nord per crepare nei lager dei Savoia, i più
coraggiosi e animosi furono infatti fucilati subito come criminali. I loro nomi
vogliamo indicare alla memoria e alla preghiera di chi legge: Massimelli,
Zopito, Zilli e Santomartino (graziato e imprigionato ma ucciso
successivamente). segue video di P.Marino
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Esattamente
il 12 marzo di 150 anni fa, 1861, dopo la resa del Re a Gaeta, capitolava anche
Messina e veniva all’alba del 13 ammainata la penultima bandiera del regno
borbonico sulla cittadella. Essa aveva resistito con enorme eroismo, data la
netta inferiorità di mezzi, un mese oltre Gaeta di fronte al feroce assedio dei
guerrieri sabaudi, con in testa il criminale di guerra Cialdini. Quella bandiera,
come costume tra i fierissimi difensori del regno delle Due Sicilie, non fu mai
ritrovata dai vincitori per esibirla come trofeo. I soldati borbonici si
divisero le ultime bandiere gigliate tra loro, celandone i pezzetti perfettamente
addosso. Portarono così la loro Patria nei posti più reconditi e nella maniera
più appassionata nelle terribili traversie che li attendevano per mano dei
barbari calati dal nord. Molti finirono a Fenestrelle per sparire nella calce
viva, molti altri divennero briganti per sparare sino all’ultima pallottola
contro l’insaziabile nemico, i pochi sopravvissuti spesso presero la mesta via
dell’esilio che gli sfruttatori settentrionali chiamarono emigrazione.
Tutti
ci lasciarono un messaggio per troppi anni dimenticato: la Patria esiste solo
se i suoi figli la invocano e la proteggono senza arrendersi mai. Noi stiamo
rintracciando nel nostro inconscio collettivo quello scampolo di bandiera che l’orgoglio
dei nostri antenati negò agli invasori. Esso è ancora vivido e palpitante ma
solo facendogli ritrovare tutti i suoi simili, disseminati nel DNA dei
meridionali di oggi, sarà possibile riformare quella medesima bandiera, la sola
in grado di garrire sotto il vento della libertà.
V.G.
seguono programma commemorativo e narrazione dei fatti storici
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l 14 febbraio di 150 anni fa terminava
l’assedio di Gaeta e quindi anche l’esistenza del Regno delle Due Sicilie con
la partenza di Francesco II di Borbone per Roma, primo dei milioni di venturi emigranti
che avrebbero lasciato il Sud Italia per
le atrocità italo-piemontesi. Per approfondire la tematica riportiamo una
pagina di un giornale (purtroppo scomparso) sui giovanissimi difensori che si
coprirono di gloria durante i 102 giorni dell’assedio e il consueto riferimento
a Il Saccheggio del Sud dello scrivente.
V.G.
Dal numero dell' 8 febbraio 1997
del quotidiano "Il Sud"
Il 7 settembre 1860 alla Nunziatella regnava una grande
agitazione: la notizia che il Re aveva raggiunto Gaeta e che l'esercito avrebbe
tentato un'ultima difesa sulla linea del Volturno, nonostante i silenzi di
molti ufficiali ed istruttori, era trapelata. Alcuni dei ragazzi decisero di
fuggire dal collegio per raggiungere il loro Re e per poter partecipare
all'ultima difesa.
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Oggi sono esattamente 150 anni dalla battaglia di Bauco
(ribattezzata per ritorsione Boville Ernica) l'unico vero scontro militare di
successo dei briganti, capitanati da Chiavone e de Christen con le truppe degli
invasori piemontesi di de Sonnaz, detto requiescant per la ferocia nelle
repressioni indiscriminate. Quella
battaglia dimostrò come le persone civili possono trovare un punto di coesione
per fronteggiare la prepotenza della barbarie, pur in inferiorità o precarietà
dei mezzi di difesa. Infatti i sudditi papalini di Baùco dettero man forte ai
briganti per inferire allo spocchioso esercito sabaudo una sconfitta che
resterà memorabile e che ancor adesso brucia e inquieta gli ottusi
patrocinatori del risorgimento. REQUIESCANT per il migliaio di granatieri con bandiera tricolore caduti sotto le mura di Bauco!
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