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Difesa del regno

Vengono qu? descritte le ultime fasi della difesa del Regno delle due Sicilie, in cui non poche volte si ebbe modo di mostrare al Mondo intero ed alla Storia quale orgoglio, quale abnegazione, quale coraggio e disciplina cartterizzavano il Nostro Popolo ed i Nostri soldati.

La corruzione, il tradimento di molti ufficiali, l'invasione barbara dei piemontesi, il complotto europeo non possono minimamente offuscare i Nostri eroi, cui va tutta la nostra stima ed il nostro pi? profondo ringraziamento.



La Battaglia del Volturno PDF Stampa E-mail

REGNO DELLE DUE SICILIE - ULTIMO ATTO

( anno 1860 )

LA BATTAGLIA DEL VOLTURNO

 

SITUAZIONE DEL REAL ESERCITO BORBONICO NEL SETTEMBRE DEL 1860

Reparti sul Volturno:

 

- 1^ Div. Leggera (gen. Colonna)

brg Barbalonga: 2° btg Cacciatori (t. col. Castellano), 11° btg Cacciatori (t. col. De Lozza), 14° btg Cacciatori (t. col. Vecchione), 15° btg Cacciatori (t. col. Pianell), btr n° 11 (cap. Tacinelli);

brg La Rosa: 1° btg Cacciatori (mag. Armenio), 3° btg Cacciatori (t. col. Paterna), 4° btg Cacciatori (t. col. Della Rocca), 6° btg Cacciatori (cap. Luise), btr n° 5 (cap. Pacca).

 

- 2^ Div. Guardia Reale (gen. Tabacchi)

brg Marulli: 1° rgt Granatieri (t. col. Delitala), 2° rgt Granatieri (col. Grenet), btr n° 1 (cap. Antonelli);

brg D'Orgemont: 3° rgt Cacciatori (t. col. Pescara), btg Tiragliatori (t. col. Ferrara), btr n° 10 (cap. Tabacchi);

brg Ruiz: 2° rgt Linea (mag. De Francesco), 4° rgt Linea (col. Marra), 6° rgt Linea (mag. Nicoletti), 8° rgt Linea (mag. Coda), btr n° 6 (cap. Iovene).

 

- 3^ Div. Leggera (gen. Afàn de Rivera)

brg Polizzy: 7° btg Cacciatori (t. col. Tedeschi), 8° btg Cacciatori (t. col. Nunziante), 9° btg Cacciatori (mag. Scappaticci), 10° btg Cacciatori (t. col. Capecelatro), btr n° 13 (cap. Sanvisente);

brg von Mechel: 1° btg Carabinieri Leggieri (t. col. Goldlin), 2° btg Carabinieri Leggieri (t. col. Migy), 3° btg Carabinieri Cacciatori (mag. Gachter), btr Estera n° 15 (cap. Fevot).

 

- Div. Cavalleria (gen. Palmieri)

brg Cavalleria Pesante Echanitz: 1° rgt Dragoni (col. Della Guardia), 1° btg del rgt Carabinieri a Cavallo (col. Puzio); ), btr a cavallo (cap. Errico Afàn de Rivera).

brg Cavalleria Pesante R. Russo: un btg 2° rgt Dragoni (col. A. Russo), 3° rgt Dragoni (col. R. Russo);

brg Lancieri Sergardi: un btg del 1° rgt Lancieri (col. Pironti), un btg del 2° rgt Lancieri (col. Mc Donald), btr n° 3 (cap. Corsi).

 

- Guarnigione della piazzaforte di Capua:

brg De Cornè: 9° rgt Linea (Girolamo De Liguoro), 10° rgt Linea (col Tosi), 2 sezioni della btr n° 2 (cap. De Rada);

reparti tecnici: 2^ Direzione del Genio (brig. Colucci), btg Zappatori-Minatori (t. col. Balzani), rgt Artiglieria Regina (col. Ferdinando Pacifici);

Gendarmeria: 2° btg (t. col. D'Ambrosio) e 2° squadrone.

 

- Reparti a disposizione dell'Armata del Volturno: 5° btg Cacciatori (mag. Musitani), 1° rgt Ussari della Guardia Reale (col. Giovanni De Liguoro), 2° rgt Ussari della Guardia Reale (col. Dentice), rgt Cacciatori a Cavallo (col. Sanchez de Luna), Guide dello S. M. (cap. Capece Galeota), btg Treno (mag. Della Valle).

 

Reparti a Gaeta:

 

- brg di Guarnigione: 1° rgt Linea (t. col. Auriemma), 4 cmp scelte del 3° Linea (t. col. Cortada), 4 cmp scelte del 5° Linea (mag. G. Marra), 4 cmp scelte del 7° Linea (mag. Pino), btg Veterani Svizzeri (mag. Aufdermauer), una parte del btg Pionieri del Genio (col. Salmieri), rgt Artiglieria Re (col. Melograni).

 

Reparti negli Abruzzi:

 

- Guarnigione del fortino di Civitella del Tronto (mag. Ascione): tre cmp del 3° btg Gendarmeria (cap. Giovane), una cmp del rgt Reali Veterani, una sezione artiglieri litorali, soldati sbandati di vari corpi;

- brg Volontari Borbonici (col. Klitsche de la Grange): 1° btg Volontari Siciliani, 2°, 3° e 4° volontari Abruzzesi).

 

Reparti della Piazzaforte di Messina:

 

- Guarnigione (gen. Fèrgola): 8 cmp fucilieri del 3° Linea (col. Aldanese), 8 cmp fucilieri del 5° Linea (col. Cobianchi), 8 cmp fucilieri del 7° Linea (col. Anguissola), 8^ Direzione del Genio (col. De Nunzio), 13^ Direzione d'Artiglieria (col. Guillamat), reparti servizi vari.

 

LA BATTAGLIA DEL VOLTURNO

 

Lo schieramento garibaldese

La linea garibaldina era un semicerchio con la curvatura rivolta a nord; al centro del diametro che ne costituisce la base c'è Caserta, dove Garibaldi collocò, con scelta felice, una forte riserva. All'estremo ovest erano poste le difese garibaldine di S. Tàmmaro e S. Maria Capua Vétere, costituite dalla divisione del vecchio generale polacco Alessandro Milbitz. A nord-ovest, nella parte alta del semicerchio, la divisione di Giacomo Medici era schierata in forti posizioni collinari a S. Angelo e, in rinforzo a questa, era giunta l'incompleta divisione del gen. Giuseppe Avezzana, sessantatreenne veterano murattiano. Medici aveva, anche, distaccato la brg del gen. Achille Sacchi più a est, a presidiare il monte Tifata. A nord-est c'era soltanto un piccolo distaccamento di 295 garibaldini, appartenenti al 1° btg bersaglieri al comando del mag. Pìlade Bronzetti, che dal 28 settembre occupava l'altura coronata dalle rovine del castello di Morrone. All'estremità est una divisione al comando dello spietato e ardito genovese Nino Bixio difendeva Maddaloni e la strada che, dal bivio dei Ponti della Valle, conduce a Caserta. La riserva di Caserta, quartier generale, era costituita dalle brigate dell'inglese Ferdinando Eber, di Azzanti, del calabrese Pace e la Milano di Giorgis., tutte al comando di Turr.

 

Lo schieramento napoletano

Il piano napoletano prevedeva due grandi direttrici d'attacco: la prima ad ovest, con base a Capua, contro S. Tàmmaro e S. Maria (3^ div. Tabacchi, privata della brg Ruiz, con circa 5000 uomini), e contro S. Angelo (brg Polizzy e Barbalonga, 8000 uomini al comando del gen. Afan de Rivera ), al diretto comando del mar. Ritucci; la seconda ad est, contro Maddaloni e in direzione di Caserta (8000 uomini al comando del gen. von Mechel, divisi nelle brg esteri e Ruiz). La riserva (circa 4000 uomini), 4 btg cacciatori al comando del gen. Colonna, era schierata lungo il Volturno, da Capua a Caiazzo.

 

L'attacco

La sera del 30 settembre Garibaldi, perfettamente a conoscenza del piano nemico, per le delazioni di ufficiali borbonici  traditori  ispezionò la prima linea, incoraggiando gli uomini, e conferì con i comandanti di divisione, dandogli le ultime disposizioni.

Il 1° ottobre era di lunedì. I garibaldesi scherzavano sul fatto che questo era il giorno in cui i napoletani attaccavano, sospinti dalle preghiere e dagli incitamenti dei cappellani nella messa della domenica precedente: e questa volta avevano proprio ragione. Francesco aveva inviato alle truppe un proclama, invero tra i meno felici, troppo umanitario per essere diretto ad uomini che avrebbero dovuto uccidere. Comunque rimase per tutto il tempo in prima linea, al fianco di Ritucci.

La mattina del 1° ottobre, alle tre e mezza, uscivano le truppe da Capua per assalire il nemico. A S. Maria i garibaldesi degli avamposti di Milbitz, schierati al cimitero ed ai Cappuccini, udirono il ràuco grido di "viva 'o Re" e videro emergere da una fitta bruma i soldati napoletani, decisi a consumare la loro vendetta per le umiliazioni patite in Sicilia e Calabria. Si erano fatte le cinque circa e i garibaldini, a questa vista, si ritirarono prontamente dietro la scarpata della ferrovia e le barricate rafforzate nei giorni precedenti, protetti da due piccole batterie servite da artiglieri piemontesi e marinai inglesi.

 

A sferrare il primo attacco su S. Maria furono le truppe del mar. Luigi Tabacchi, foggiano sessantanovenne. Fu un grosso errore affidare il settore principale del fronte a questo ufficiale privo di esperienze belliche, che aveva percorso tutta la sua carriera nei granatieri della guardia, in un'atmosfera ovattata lontana dai campi di battaglia. Per l'assalto Tabacchi dispose la sua divisione su due colonne: a destra la brg del col. Giovanni D'Orgemont, a sinistra il 1° rgt granatieri della guardia, al comando del col. Gennaro Marulli; di riserva a Capua rimase il 2° rgt granatieri della guardia al comando del col. Carlo Grenet. D'Orgemont, però, sbagliò direzione, costringendo Marulli ad occupare frettolosamente le sue posizioni, muovendo verso l'anfiteatro; la brg D'Orgemont, invece, avanzò verso il convento dei Cappuccini.

Sull'estrema ala sinistra garibaldese, S. Tàmmaro e Carditello, erano stati inviati quattro squadroni di lancieri, appartenenti al btg Pollio del 1° rgt e al btg Cessari del 2°, al diretto comando del brig. Fabio Sergardi, e l'artiglieria, al comando del prode col. Matteo Negri (lo stesso promosso per i combattimenti di Capua).

 

S. Tàmmaro e S. Maria

D'Orgemont lanciò in avanguardia 4 compagnie del btg tiragliatori al comando del t. col. Raffaele Ferrara, sostenute dal 2° btg cacciatori della guardia condotto dal t. col. Giovanni De Cosiron. I tiragliatori, avanzanti in ordine aperto, tentarono la conquista del camposanto di S. Maria, ma furono respinte con gravi perdite, fra le quali quella del valoroso cap. Giuseppe De Mollot. L'intervento del btg condotto con bravura e coraggio da De Cosiron, spinse i garibaldesi fino alle porte di S. Maria. A questo punto De Cosiron dovette lasciare l'onore del colpo di grazia al 1° btg cacciatori della guardia reale, condotto direttamente dal col. D'Orgemont. L'assalto contro il convento dei cappuccini fu un fallimento; i cacciatori reali avanzarono tirando fucilate all'impazzata, mettendo in pericolo gli uomini di De Cosiron. Preso sotto tiro dall'artiglieria nemica, D'Orgemont inviò al camposanto il giovanissimo ten. Giovanni Giordano (pescarese di 22 anni) con la sua sezione di cannoni della btr n° 1, per controbattere le cannonate dei garibaldesi; ma la posizione era troppo avanzata e scoperta, così la sezione fu spazzata via dal tiro d'infilata nemico. Giordano, colpito dalla mitraglia, fu tra i primi a morire. I due battaglioni del 3° rgt cacciatori della guardia furono costretti a ritirarsi precipitosamente senza protezione, il che causò molte perdite. L'artiglieria garibaldese era infatti ben diretta da ufficiali napoletani traditori e disertori, con artiglieri piemontesi ed inglesi.

 

Intanto Negri era riuscito a scacciare i garibaldesi da S. Tàmmaro, questi ultimi al comando di Enrico Faldella, schierando la sua artiglieria in appoggio della colonna che stava assaltando l'anfiteatro difeso dalla brg La Masa (2° rgt di Malenchini, rinforzato dagli uomini di Faldella in ritirata da S. Tàmmaro). Alla guida degli attaccanti c'era un preparato e coraggioso ufficiale, il col. Gennaro Marulli, napoletano cinquantaduenne, che si era comportato con valore a Palermo alla testa del 9° rgt di linea, col quale aveva difeso porta Maqueda, dove era stato gravemente ferito. Decorato al valore, ancora convalescente era stato posto alla testa della brg granatieri della guardia. Gli assalti dei suoi granatieri, appoggiati da due sezioni della btr n° 1 (cap. Pasquale Antonelli), condotti con grande coraggio e senza molto riguardo per le perdite umane, si infransero contro le barricate nemiche per tutta la mattinata. La guardia reale era rimasta ancorata ad antichi schemi di combattimento, operando a ranghi compatti e, quindi, esponendosi al tiro nemico, senza riuscire a sfondare il fronte. La difficoltà dei granatieri ad avanzare in ordine aperto portò, come conseguenza, a gravi perdite, soprattutto a causa del tiro a mitraglia nemico.

 

Viste le difficoltà a sfondare, il mar. Tabacchi gettò nella mischia anche la riserva, costituita dal 2° rgt granatieri del col. Grenet; ma era ancora troppo presto, e la riserva, bruciata in questa occasione, sarebbe mancata nella nuova offensiva ordinata da Ritucci nel pomeriggio. Alle 8 del mattino, i granatieri, dopo aspri combattimenti, cominciarono ad indietreggiare, nonostante Marulli, col suo braccio ancora fasciato, incitasse in ogni modo i suoi soldati. A quel punto giunsero sul campo di battaglia il Re ed i suoi fratelli, incoraggiando i soldati per un nuovo vigoroso attacco. Rinforzato da quattro compagnie del 10° rgt di linea (mag. Luigi Sorrentino D'Afflitto), di guarnigione a Capua, il col. Marulli guidò un nuovo attacco che, dopo un'ostinata resistenza delle truppe del siciliano La Masa, riuscì a sfondare proprio con le compagnie del 10° che si attestarono nelle prime case di S. Maria, presso porta Capuana.

 

S. Angelo

Nel settore di S. Angelo dirigeva l'offensiva il mar. Gaetano Afàn de Rivera, palermitano quarantaquattrenne, appartenente ad una famiglia di origine spagnola di militari, devotissima ai Borbone. Aveva dimostrato coraggio e senso del dovere nella campagna di Sicilia del 1848-49, dove era stato decorato con la medaglia d'oro e la croce di diritto di S. Giorgio, guidando in battaglia il 4° btg cacciatori; ma i tempi erano cambiati, e Afàn de Rivera fu la causa principale della mancata vittoria in quel fronte.

Aveva alle sue dipendenze due ottimi comandanti di brigata: il brig. Gaetano Barbalonga, quarantacinquenne di Palermo, decorato per i combattimenti in Calabria nel 1849, come capitano del 6° rgt Farnese; il col. Vincenzo Polizzy, quarantasettenne anch'egli palermitano, brillante ufficiale d'artiglieria, decorato due volte nella campagna di Sicilia del 1848-49.

La prima brigata che egli scagliò all'attacco fu quella di Polizzy, formata dai btg cacciatori 7°, 8°, 9° e 10°, dalla btr n° 13 e da uno squadrone del 1° rgt ùssari; la brg Barbalonga rimaneva di riserva pronta a sostenerla. Nel fronte opposto il gen. Medici, che comandava in questa zona truppe fra le più addestrate dell'Esercito Meridionale, aveva rafforzato le già ottime difese naturali costituite dal terreno collinoso e dalle pendici dell'alto monte Tifata, fortificando le diverse case e ville sparse sui declivi, nonché l'entrata del paese di S. Angelo, appostando i cannoni nelle posizioni migliori. Di fronte, però, aveva i migliori soldati del Real Esercito Borbonico, quei cacciatori che a Calatafimi ed a Milazzo erano stati molto vicini a prevalere, e che la vigliaccheria dei loro generali li aveva privati della vittoria. Ora quegli uomini gettavano nella lotta tutto il loro disperato desiderio di vendetta ed il loro comprovato valore. Alle cinque del mattino furono i cacciatori del 10° btg, al comando dell'anziano t. col. Luigi Capecelatro, napoletano di 58 anni e veterano della campagna di Sicilia del 1848-49, ad aprire il fuoco, avanzando in avanguardia sulla strada consolare al grido di "viva 'o Re". Dalla casina Longo i garibaldesi decimarono quel battaglione con una batteria di otto cannoni servita dai marinai inglesi della fregata Renown, ferma a Castellammare; i cacciatori, avendo avuto già 41 caduti e 61 feriti (tra questi ultimi il comandante Capecelatro) furono costretti alla ritirata. Avanzarono allora l'8° (t. col. Antonino Nunziante) e il 9° btg (mag. Giuseppe Scappaticci) ed alla casina Longo si accese una lotta cruenta, corpo a corpo, nella quale fu usata ogni arma, dal piombo alla baionetta, dal calcio del fucile alle pietre, dai pugni ai calci. A questo punto intervenne anche la brg Barbalonga, costituita dai btg cacciatori 2°, 11°, 14° e 15°, da 4 compagnie del btg tiragliatori e dalla btr n° 11, lanciando in avanti l'11° btg del t. col. Federico De Lozza, mentre il 15° del t. col. Errico Pianell effettuava un'azione di supporto, attaccando i nemici piazzati nei pressi del bosco di S. Vito e mettendoli in fuga. Ad espugnare la casina Longo, conquistando la cima del monte Tifata, fu il valoroso capitano dell'11° Ferdinando Campanino, napoletano quarantottenne, che alla guida di un pugno di uomini si impadronì del fortino nemico, catturò i cannoni e fece alcuni prigionieri.

 

Per riconquistare la cima Medici tentò un contrattacco che fu respinto, in particolare, dai btg 8°, 7° e 2° cacciatori. Un nuovo contrattacco garibaldino fu appoggiato, sulla destra borbonica, da due btg della div. Avezzana, mentre l'artiglieria di Medici fulminava i cacciatori del 9°, che erano i più avanzati, dalla cima del monte S. Angelo.

Con alla testa il 9° btg cacciatori, Polizzy scatenò un furioso assalto contro quel monte, conquistando le posizioni fortificate una per volta e dopo un bagno di sangue. Il rgt lombardo del col. Simonetta e i due btg del gen. Avezzana furono costretti a ritirarsi. Ultimo ostacolo di fronte all'avanzata napoletana era un btg ungherese, attestato nel centro abitato di S. Angelo che, dopo valorosa resistenza, fu scacciato. Entrati nel paese, i napoletani si gettarono sui magazzini viveri del nemico, mangiando e sparando nello stesso tempo. Infatti, i poveri soldati erano stati lasciati a digiuno dalla loro disorganizzata sussistenza.

Vista la situazione vittoriosa a S. Angelo, il mar. Afàn de Rivera avrebbe dovuto scagliare la sua divisione contro il fianco della posizione garibaldese di S. Maria, sostenendo l'attacco frontale della div. Tabacchi; ma egli non diede alcun ordine, anzi, si rese irreperibile. Altro neo della sua divisione fu la defezione del comandante del 9° btg cacciatori, il mag. Giuseppe Scappaticci, cinquantenne di Gaeta, che, lasciando i suoi uomini senza guida, si rifugiò a Capua.

 

Garibaldi al fronte

La brg cacciatori, magnificamente diretta da Polizzy, aveva conquistato tutte le posizioni di S. Angelo, appoggiata dalla brg Barbalonga. Colti dal pànico, molte camicie rosse fuggirono via. Ormai gli uomini di Medici, persa S. Angelo, erano aggrappati disperatamente alle asperità che separavano i napoletani dalle cime dei monti, superati i quali, essi avrebbero potuto dilagare nella pianura per tagliare le comunicazioni tra Caserta e Capua.

La mattina Garibaldi era sfuggito per il suo stellone alla morte o alla cattura. Egli si trovava a S. Maria, quando, sentiti aumentare i rumori della battaglia verso nord, si era diretto verso S. Angelo in carrozza. Sulla strada fu attaccato da alcuni cacciatori dell'11° btg che uccisero il cocchiere e crivellarono di colpi la carrozza. Scesi dal mezzo di trasporto, Garibaldi e i suoi aiutanti furono immediatamente soccorsi dai carabinieri genovesi di Mosto e dai lombardi di Simonetta, i quali contrattaccarono respingendo il nemico.

 

Maddaloni

Contemporaneamente all'avanzata su S. Maria e S. Angelo, ad est si muoveva la colonna di von Mechel, formata da 8000 uomini. Come militare von Mechel era un valoroso dotato di solidi principi e di un forte coraggio personale, ma non era altrettanto valido come stratega e, per di più, era superbo ed indisciplinato. Invece di procedere con tutta la forza, senza avvertire Ritucci, il generale svizzero la divise. Diede i rgt di linea 2°, 4° 6° e 8° (5000 uomini) al col. Ruiz de Ballestreros, con l'ordine di muovere da Caiazzo verso Caserta Vecchia, punto previsto per riunire tutte le forze con le quali attaccare Caserta. Lasciò i resti del 14° rgt di linea al comando del col. Carlo Zattara a presidiare il ponte sul Volturno nella zona di Caiazzo. Più ad est von Mechel, partendo da Amorosi con il 1° (mag. Francesco Saverio Goldlin) e il 2° btg carabinieri leggeri (mag. Aloisio Migy), il 3° btg carabinieri cacciatori (mag. Eugenio Gachter), le btr n° 10 e 15 (estera) e due squadroni di ùssari, si diresse verso Maddaloni. Sùbito a nord di questo paese si estende un terreno montagnoso e irregolare, dominato dai maestosi Ponti della Valle di Maddaloni, altissimi archi dell'elegante acquedotto vanvitelliano che portava le acque ai giardini del parco reale di Caserta. Bixio aveva occupato tutte le alture strategicamente vantaggiose, schierando un btg di soldati piemontesi in “congedo provvisorio” sui Ponti della Valle, rinforzati da una batteria.; la brg di Carlo Ebherardt ad est, sul monte Longano; il btg di Spinazzi al centro; la brg del col. Giuseppe Dezza ad ovest, sul monte Caro; in riserva la brg di Nicola Fabrizi, situandola sull'eremo del Salvatore, a presidiare la via per Maddaloni.

 

Mechel divise la sua brg in tre colonne e, alle otto antimeridiane, investì monte Lungano, monte Caro e i Ponti della Valle. Un buon numero di mercenari rifiutò di avanzare; malgrado ciò, Mechel scatenò l'attacco. La brg Ebherardt, dopo duri combattimenti, cedette di schianto, fuggendo disordinatamente. Proprio in questo settore, sul monte Lungano, cadde il cap. Emil von Mechel, figlio unico del generale. Al centro, lo stesso gen. Mechel espugnò i Ponti della Valle, mentre sul passo del monte Caro le tre cmp di presidio, al comando del mag. Cesare Boldrini, furono ricacciate indietro dopo una tenace resistenza; aperto il passo, i reparti garibaldesi di Dezza fuggirono, decimati dall'artiglieria regia validamente diretta dal cap. Francesco Tabacchi per la btr n° 10 e dal cap. Errico Fevot per la btr n° 15. A cedere furono, soprattutto, i btg formati da siciliani e napoletani, i quali giunsero fino a Napoli. Resse, invece, il btg di Menotti Garibaldi, posto a presidio del poggio della Siepe, contrafforte di monte Caro. Nella cima del monte Calvo, magnifica posizione strategica, si piazzò l'artiglieria di Mechel con due cannoni da montagna, pronti a colpire le posizioni garibaldine più in basso; fu però ricacciata dal btg del mag. Rainero Taddei.

Bixio, pressato dal nemico, fu costretto ad arretrare fino a villa Gualtieri, abbandonando numerosi cannoni. A questo punto Mechel, affranto per la morte del figlio, si fermò per fare riposare gli uomini e per attendere l'arrivo della brg Ruiz, perdendo una buona occasione per dare il colpo di grazia alla div. Bixio.

 

Castelmorrone

Nel frattempo Ruiz marciava lentamente, senza curarsi di tenere i contatti con Mechel. Aveva ai suoi ordini il 2° rgt di linea (rinforzato dai resti del rgt carabinieri) del t. col. Pietro De Francesco, il 4° rgt (rinforzato dai resti dei rgt 11°, 12°, 13° e 15°) del col. Andrea Marra, il 6° rgt del t. col. Domenico Nicoletti, l'8° rgt del mag. Vincenzo Coda e metà della btr n° 6 al comando del cap. Giuseppe Iovene. Inviò a occupare Limàtola il 6° rgt e alcune cmp del 2° (mag. Pietro De Francesco) e del 4° (mag. Musso), mentre egli, col resto della brigata, proseguiva per l'Annunziata in direzione di Caserta. Le truppe del t. col. Nicoletti, circa 1500 uomini, scacciarono i garibaldesi da Limàtola; poi, però, andarono ad impattare su Castelmorrone, nel cui eremitaggio, in cima al monte, si erano arroccati i 295 garibaldesi del 1° btg bersaglieri del mag. Pìlade Bronzetti. I napoletani avrebbero potuto continuare la loro marcia, lasciando indietro questo insignificante presidio, ma Nicoletti ricevette  dal col. Ruiz l'ordine incomprensibile di conquistarlo.

I borbonici lentamente ascesero il monte in modo da precludere ai garibaldesi ogni ritirata ed alle 11 iniziò il combattimento. Diedero inizio all'assalto i fanti del 6°, inerpicandosi per il monte Morrone sotto il fuoco nemico. Di rincalzo intervennero i fanti del 2° e, poi, quelli del 4°. Dopo cinque ore di combattimento, alle 4 del pomeriggio, i borbonici riuscirono a sfondare le ultime difese della guarnigione garibaldese, notevolmente ridotta di numero e rimasta senza munizioni, tanto da doversi difendere scagliando sassi e con le baionette. Bronzetti, avendo raggiunto l'obiettivo di ritardare notevolmente la marcia nemica e per evitare un'immane strage, prese una tovaglia bianca e cominciò ad agitarla per dichiarare la resa, ma nella confusione del combattimento non fu sentito; sicché, infuriatosi, abbandonò il drappo e si mise a menar di sciabola e, dopo essere stato ferito al collo, fu colpito da una palla al petto e cadde morto. La morte del comandante garibaldese segnò la fine del combattimento. Sul terreno rimanevano 16 caduti garibaldini e 4 napoletani. Grandissimo fu il numero dei feriti e 220 i prigionieri invasori.

 

Ruiz, sentito tuonare il cannone verso Maddaloni, invece di dirigersi in aiuto di Mechel, continuò lentamente la sua marcia verso Caserta. La sera, dopo aver scambiato qualche fucilata con l'avanguardia della brg Sacchi, si accampò a Caserta Vecchia, senza informarsi sulla posizione di Mechel e sulla battaglia combattuta ai Ponti della Valle.

La colonna di Nicoletti, intanto, conquistato Castelmorrone, proseguì verso Caserta, secondo gli ordini ricevuti da Ruiz. Presso S. Léucio sbaragliò un presidio di garibaldesi, giungendo, poi, a Caserta Vecchia, dove si riunì al resto della brigata.

 

Garibaldi utilizza le riserve

La battaglia continuava pure ad ovest. A S. Tàmmaro, rioccupata dalle camicie rosse, gli squadroni di lancieri del gen. Sergardi caricarono, appoggiati dalla btr n° 3 del cap. Carlo Corsi, rompendo le barricate difese dai garibaldesi del rgt Fardella, conquistando il paese e facendo numerosi prigionieri. Il fianco sinistro di S. Maria era scoperto e, in tutto il fronte, i napoletani avanzavano vittoriosi.

A questo punto fu la sfacciata fortuna e il carisma di Garibaldi a capovolgere la situazione, facendo intervenire le riserve nel punto giusto al momento giusto, sfruttando, così, i notevoli errori dei generali nemici. Inoltre stette sempre in prima linea, dove la battaglia era più dura, incoraggiando gli uomini e guidandoli personalmente al contrattacco. In molti casi garibaldesi sbandati ed impauriti, alla vista di Garibaldi sotto il fuoco nemico, tornavano indietro per combattere.

Garibaldi, visto che S. Angelo era stato perso e che la strada S. Maria-S. Angelo era presidiata dal nemico, torno a Caserta per la campagna, chiedendo al capo di stato maggiore Sìrtori l'intervento delle riserve, le quali giunsero velocemente a S. Maria grazie alla ferrovia.

Alle due del pomeriggio, pressato da forze superiori, il 10° rgt di linea abbandonò i sobborghi della suddetta cittadina, ripiegando con ordine verso Capua.

Garibaldi schierò i rinforzi: una parte della brg Azzanti nel centro abitato di S. Maria; sulla strada S. Maria-S. Angelo furono schierati, con fronte ovest, la brg Milano, la Eber, i calabresi di Pace e, in riserva, il resto della brg Azzanti.

 

Avanti la guardia!

Intanto il Re, visto il successo tattico di S. Tàmmaro, ordinò a Ritucci di impiegare la guardia reale contro S. Maria. Così il 1° e il 2° rgt granatieri della guardia furono mandati all'assalto. Quando nelle battaglie napoleoniche si gridava "Avanti la guardia!" la vittoria aveva sempre arriso alle armi francesi. Ma la guardia napoletana non aveva nulla in comune con quella imperiale. Era formata da giovanotti alti e di bella presenza, fortemente raccomandati per entrare in quel corpo privilegiato; buoni, per lo più, alle parate di Fuorigrotta. Già scossi dai combattimenti della mattina, i granatieri avanzarono verso S. Maria sparacchiando e, accolti dalla mitraglia dei cannoni di Milbitz, si sbandarono, fuggendo in preda al pànico, nonostante gli sforzi del mag. Nicola Cetrangolo che comandava il battaglione di punta. Inutile fu, anche, l'intervento dello stesso Re che si gettò nella mischia, tentando di incoraggiarli. Nell'episodio si distinse il cap. Antonelli che, dirigendo la btr n° 1, protesse la disordinata ritirata.

Deluso dal comportamento dei più lustri soldati del Regno, Francesco ordinò la carica della cavalleria, seguita dal 9° rgt di linea Puglia del col. Girolamo De Liguoro. A caricare furono due squadroni del 2° rgt ùssari, guidati dal t. col. Filippo Pisacane (fratello germano del defunto mazziniano Carlo), i quali, sotto il terribile fuoco dell'artiglieria, voltarono i cavalli e si diedero alla fuga, investendo e creando lo scompiglio tra i fanti che seguivano. Il comandante della divisione di cavalleria, brig. Giuseppe Palmieri, uscito dalla fortezza di Capua dove era stato lasciato inattivo, si frammischiò alle sue truppe per cercare di spronare i demoralizzati in ritirata a riprendere il combattimento, ma non vi riuscì, e gli ùssari si ritirarono al galoppo fino a Capua.

 

Il contrattacco di Garibaldi

Visto che di fronte non si poteva sfondare, Francesco mandò l'ordine di attacco ad Afan de Rivera, vittorioso a S. Angelo, e a Sergardi da S. Tàmmaro con la sua cavalleria. Sarebbe stata una manovra a tenaglia che avrebbe stretto, da nord e da ovest, S. Maria. Ma Afan de Rivera, incredibilmente, non fu reperibile e, solo troppo tardi, i comandanti delle due brigate, Barbalonga e Polizzy, guidarono un attacco, invero fiacco. Queste due brigate combattevano, ormai, da dieci ore di fila e, in particolare la brg Polizzy, avevano subito pesanti perdite (circa 500 uomini tra caduti, feriti e dispersi).

Sulla strada S. Angelo- S. Maria Garibaldi aveva schierato i rinforzi che fermarono l'attacco napoletano verso le tre pomeridiane. Poi, guidate dal prussiano Rustow, contrattaccarono la brg Milano e la legione ungherese, seguiti da una parte della brg Azzanti. I napoletani, stanchi e sgomenti, abbandonarono le loro posizioni, arretrando verso Capua.

Contemporaneamente si scatenarono altri tre contrattacchi garibaldesi: a S. Angelo dalle div. Medici e Avezzana; sulla strada per Capua alcune riserve al comando di Turr; a S. Tàmmaro uno squadrone improvvisato, formato da 200 magiari, polacchi, inglesi e qualche italiano, appoggiato da una cmp dei toscani di Malenchini, che caricò e fece retrocedere fin sotto Capua i lancieri di Sergardi, dopo una mischia furibonda.

 

La ritirata generale

Vista la debole resistenza della div. Tabacchi sulla strada di Capua, la perdita di S. Tàmmaro e l'imboscamento di Afan de Rivera a S. Angelo, il mar. Ritucci ordinò la ritirata generale. Erano le cinque pomeridiane.

Le truppe napoletane rientrarono in ordine nei loro alloggiamenti di Capua, senza essere molestati dai nemici, grazie all'opera del col. Carlo Grenet che con un btg del 2° rgt granatieri coprì egregiamente la ritirata, guadagnandosi la promozione a brigadiere; nel fronte di S. Angelo coprì il ripiegamento la brg Barbalonga, bloccando il nemico sulle sue posizioni. Ritucci avrebbe ancora potuto utilizzare le riserve agli ordini del gen. Colonna, rimaste inoperose dietro al Volturno; ma, scoraggiato dalla cattiva prova della guardia e degli ùssari, nonché dalla viltà di alcuni alti ufficiali, fra i quali Afan de Rivera, rinunciò a proseguire l'offensiva.

Gli assalti alle postazioni garibaldese di S. Maria e S. Angelo, ben fortificate, erano costati ai napoletani un alto tributo di sangue: 260 caduti, 731 feriti e 322 prigionieri (quasi tutti della guardia reale).

 

Il contrattacco di Bixio

Ad oriente, intanto, come già detto von Mechel si era fermato in attesa di Ruiz, dopo aver espugnato le posizioni garibaldesi dei Ponti della Valle. Ma Ruiz non giunse. Arrivò, invece, il contrattacco di Bixio che, riorganizzati i reparti e rinforzato da truppe fresche, costrinse von Mechel a ripiegare verso le tre pomeridiane. La ritirata napoletana fu ordinata e coperta in retroguardia dall'artiglieria e dal 3° btg esteri. Ai garibaldesi non fu lasciato nulla, trasportando pure i feriti che furono 81. Sul campo rimasero 42 caduti e 96 prigionieri "volontari" (disertori). I garibaldesi soffersero perdite più gravi.

 

Caserta

La brg Ruiz si era riunita a Caserta Vecchia, forte di ben 4 reggimenti per circa 5000 uomini. Il col. Ruiz tenne con sé a Caserta Vecchia il 2° rgt (t. col. De Francesco), una parte del 4° (mag. Anguissola) e la btr n° 6 (cap. Iovene), sparpagliando in avamposti, sopra Caserta, il resto del 4° rgt, il 6° e l'8°.

Durante la notte arrivò un messaggio di von Mechel che comunicava la propria ritirata ad Amorosi. Riunito un consiglio di ufficiali superiori, Ruiz decise per la ritirata verso Caiazzo; ma non ebbe il tempo di avvisare tutte le sue truppe, perché la brg Sacchi già attaccava da S. Léucio il 6° e una parte dell'8° rgt di linea. Li comandava il t. col. Nicoletti che sollecitò il soccorso di Ruiz. Questi, però, preferì ritirarsi vigliaccamente con le riserve a Caiazzo, lasciando indietro circa 2000 uomini. Vìstosi abbandonato, Nicoletti si ritirò verso Limàtola, pressato dalla brg Sacchi; qui fu raggiunto e circondato dai nemici, e si arrese con un migliaio di uomini del 6° e 638 dell'8°.

 

Garibaldi, intanto, avvisato della presenza della brg Ruiz a Caserta Vecchia, aveva riunito un buon numero di combattenti, formati in gran parte dai calabresi del gen. Stocco e da quattro cmp dell'esercito piemontese che, fino ad allora, si erano limitate a presidiare i forti. Così, attaccando dal parco della reggia di Caserta, entrò in contatto con alcune compagnie in avamposto del 4° di linea al comando del t. col. Musso; si trattava delle frazioni dei disciolti reggimenti 13° e carabinieri incorporati, appunto, nel 4° di linea, con una forza di circa 500 uomini. I napoletani furono investiti a destra da Garibaldi, mentre di fronte c'erano le riserve di Sìrtori, ad oriente le truppe di Bixio, provenienti da Maddaloni, e a nord la brg di Sacchi. Circondati, dopo breve resistenza i borbonici si ritirarono verso Caserta Vecchia, dove, dopo un altro scontro, si arresero sullo stradone di Centorano.

La notte del 2 ottobre, per l'inettitudine e la viltà del loro comandante, 2089 soldati della brg  Ruiz erano caduti prigionieri, solo 6 caduti e 8 feriti le altre perdite, a dimostrare la scarsa resistenza opposta ai nemici.

 

Conclusioni sulla battaglia

La più grande battaglia di tutta la campagna del 1860-61 era terminata. Il costo per gli invasori era stato di 3423 uomini: 506 caduti, 1528 feriti, 1389 fra prigionieri e disertori. Le perdite napoletane erano state poco più gravi, 3735 uomini, di cui 308 caduti, 820 feriti e 2507 prigionieri.

I napoletani non erano riusciti a sfondare il fronte, per cui la vittoria, seppur difensiva, era dei garibaldesi. La differenza fra i due eserciti era stata fatta dai capi. Erano state decisive la sorte amica e le capacità tattiche e strategiche di Garibaldi, sempre presente nei momenti cruciali dei combattimenti, trascinatore ed animatore dei suoi uomini anche nei momenti più critici. In una battaglia combattuta secondo i canoni tradizionali, manovrata e complessa, aveva dimostrato di saper scegliere ottimamente il terreno e i momenti e i luoghi di intervento delle riserve, le quali bloccarono le offensive nemiche nel momento del loro maggior impegno. I suoi luogotenenti erano stati tutti all'altezza, combattendo e guidando gli uomini con freddezza e coraggio. Bixio, Medici, Milbitz (quest'ultimo ferito) furono tenaci nella difesa delle posizioni; mentre Turr, Rustow, Sìrtori furono decisivi nel guidare i contrattacchi. Ottimi furono i comandanti intermedi. Ottimo anche il comportamento della truppa che resistette tenacemente, al costo di gravi perdite, a continui e violenti attacchi. Eccezione costituì la brg Ebherardt che fu travolta e sfaldata dai mercenari di von Mechel.

 

I soldati napoletani non erano stati inferiori per aggressività, spirito di sacrificio e coraggio, a parte la guardia reale e la brg Ruiz. La guardia reale, eccezion fatta per il btg tiragliatori, aveva combattuto con tattiche superate dall'avvento dei fucili rigati e, complessivamente, non dette buone prove sul Volturno. Non brillarono neanche i reggimenti di linea, già decimati ed umiliati nelle campagne di Sicilia e delle Calabrie. Furono all'altezza della loro fama, invece, i battaglioni cacciatori, salvando l'onore dell'esercito napoletano. I comandanti di reparti intermedi li avevano guidati con audacia e buone capacità tattiche. Erano mancati, invece, i generali. Ritucci, seppur coraggioso di fronte al nemico, non seppe gestire al meglio la battaglia e le proprie riserve, mancando, pure, di decisione. Il suo errore più grave fu quello di scagliare l'attacco principale contro le posizioni nemiche più forti: quelle di S. Maria e di S. Angelo. Avrebbe potuto, invece, effettuare una finta in quelle posizioni, per attirare le forze nemiche, tentando di rompere il fronte sull'ala destra nemica, a Maddaloni, per giungere alle spalle delle riserve di Caserta e conquistare la ferrovia. Ma avrebbe dovuto fornire molti più uomini a von Mechel, col quale era ai ferri corti. Nell'attuazione del piano di battaglia non seppe imporre la propria volontà su molti dei suoi sottoposti e non seppe governare la giornata come si conviene ad un generale in capo. Si spostò da un punto all'altro del campo senza poter avere sempre cognizione della situazione. Utilizzò dissennatamente la cavalleria, frazionandola in appoggio ai vari reparti e togliendole quella forza d'urto che nell'Ottocento era di importanza decisiva. Si fece imporre generali che non stimava, a discapito di altri, come Colonna, che furono messi praticamente in disparte. Pur considerando la Guardia Reale inadatta, la utilizzò nell'assalto principale di S. Maria, invece di metterla in riserva al posto della divisione Colonna, formata da ottimi battaglioni cacciatori. Infine, lasciò inutilizzate troppe riserve, le quali avrebbero potuto avere un notevole peso sull'economia della battaglia. Ritucci mancò di fiducia e, soprattutto, di audacia.

 

Pessimi furono i comandanti di divisione. Afan de Rivera dimostrò tutta la sua inettitudine di comandante di divisione, non solo perché non partecipò attivamente alla manovra, ma soprattutto perché abbandonò al loro destino i suoi dipendenti, scomparendo dal luogo delle operazioni con tutto il suo stato maggiore. Le sue truppe, grazie ai comandanti di brigata, si comportarono vittoriosamente, ma a causa della mancanza di coordinamento che a lui come comandante di divisione si richiedeva, non poterono cogliere il frutto della momentanea vittoria. Tabacchi, troppo lontano dai luoghi dei combattimenti, utilizzò le riserve anticipatamente ed in malo modo, e la sua divisione, malgrado gli sforzi dei comandanti di brigata Marulli e D'Orgemont, non abituata al fuoco si decompose, pur combattendo ammirevolmente nelle prime ore della battaglia. Sia Tabacchi che de Rivera non curarono i collegamenti col quartier generale, tanto che Ritucci non riuscì a rintracciarli. Von Mechel si era comportato da valoroso, ma, arrogante e testardo, aveva modificato il piano d'attacco di Ritucci senza avvisarlo, compromettendo l'esito della battaglia. Il còmpito affidatogli era quello di aggirare le posizioni garibaldesi dalla parte di Maddaloni, per sboccare dietro le linee nemiche sulla linea di Caserta e S. Maria. Per questo, oltre le forze della brg estera, gli era stata aggregata la brg Ruiz; ma egli aveva diviso le forze, inviando Ruiz verso Caserta e affrontando la divisione Bixio con la sola brg esteri. La mancanza delle riserve, bloccate a Castelmorrone per l'inettitudine di Ruiz, non permise a von Mechel di dare la spallata decisiva al fronte degli invasori dei Ponti della Valle di Maddaloni. Ottimo colonnello, von Mechel si dimostrò pessimo generale commettendo gravissimi e decisivi errori.

 

Situazione dell'Esercito Borbonico

Pur respinti, però, i napoletani erano ancora superiori per uomini, armi, munizioni ed equipaggiamenti. Inoltre, le fortezze di Capua e Gaeta erano ancora in loro possesso ed irte di cannoni.

Dopo aver distribuito nastrini ed encomi, Francesco ordinò a Ritucci di riprendere l'offensiva lo stesso 2 ottobre, visto che l'ìmpeto combattivo dei suoi soldati non si era esaurito con la sconfitta e che i reparti garibaldesi erano duramente provati e ridotti del 20% dalle perdite. Ma Ritucci, ormai rassegnato e scoraggiato, mosse una serie di obbiezioni tale da rinviare a tempo indeterminato una nuova offensiva. Così fu persa l'ultima occasione per vincere la guerra, dato che ormai si avvicinava il contingente piemontese da nord.

Gli effetti su Napoli dell'offensiva del 1° ottobre erano stati dirompenti. La vista di centinaia di feriti e di fuggiaschi, e il timore che i soldati napoletani e svizzeri fossero ormai alle porte pronti a consumare un'atroce vendetta, provocò il pànico nella popolazione. In particolare pérsero la calma alcuni personaggi del vecchio regime, fra i quali  quel voltagabbana di don Liborio Romano, che da poco avevano cambiato bandiera.

Mentre Francesco cercava di superare le resistenze di Ritucci, Garibaldi riorganizzava il suo esercito, in attesa dell'arrivo delle truppe piemontesi

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La fortezza di Fenestrelle è stata sempre adibita a carcere per prigionieri politici di qualsiasi tipo da parte del regno Sabaudo, ma l'evento per cui si è tristemente distinta è stato quello della prigionia (sarebbe meglio dire DEPORTAZIONE) di centinaia di migliaia di soldati del Regno delle Due Sicilie, all'indomani della cosiddetta unità d'Italia, che si tramutò in uno degli atti più aberranti contro dei prigionieri che siano mai stati registrati nella Storia.

Quanti di voi sapevano di questo evento? Ve lo dico io:nessuno. Il tutto è stato messo deliberatamente a tacere. Dopotutto loro sono i buoni, noi siamo solo Meridionali....

Ma purtroppo per loro, ho intenzione di parlarvi dettagliatamente di questa carneficina: certo non servirà a molto, ma se anche una o due persone in più sapranno di quanto è successo, di sicuro sarà per me un grande risultato.

Andiamo con ordine:

1860, le truppe piemontesi e garibaldine hanno occupato il meridione dando fine alla guerra e iniziando lo sterminio dei nostri partigiani (i "Briganti") e iniziando a depredare il nostro territorio delle sue risorse. Il fato dei soldati dell' ex esercito delle Due Sicilie è apparentemente incerto: come è di consuetudine in tutte le guerre, essi alla fine delle ostilità avrebbero dovuto essere liberati e rimandati alle famiglie, ma ciò che sta avvenendo non è affatto questo.

Decine di migliaia di soldati vengono caricati nelle navi a mò di animali, in condizioni igieniche precarie e, pigiati l'uno contro l'altro, vengono fatti sbarcare a Genova. Qui vengono indirizzati ai campi di detenzione dove vengono nutriti a stento con una brodaglia e un pò di pane nero e dove sono costretti a subire i peggiori maltrattamenti e le peggiori sevizie. In dieci anni ben 40.000 soldati Duosiciliani morirono di fame, di stenti e di malattia nelle "prigioni" Sabaude.

Ma questo è nulla rispetto a ciò che accadde a Fenestrelle (di cui sopra ne è raffigurata una parte): questa antica fortezza era destinata ad ospitare gli ufficiali e i sottufficiali dell'Esercito Borbonico, e questi uomini, che si rifiutarono per tutto il resto della loro vita di dichiarare fedeltà alla nuova "Italia",furono trattati in modo talmente disumano che le SS a confronto sembrano la Caritas.

Ai piedi dei prigionieri venivano legate delle palle di ferro del peso di 16kg(provate a camminare con le cavigliere, che peseranno massimo un kg o due, e poi mi direte... pensate cosa poteva essere questa palla di ferro), venivano fatti dormire all'addiaccio senza coperte o senza indumenti (non dimentichiamoci che Fenestrelle è in Piemonte)e venivano deliberatamente affamati e percossi dai carcerieri. Alla morte di un prigioniero (la cui vita media non superava i tre mesi all'interno della fortezza) il corpo veniva disciolto nella calce viva e i resti venivano gettati senza tanti complimenti dove capitava. Non una tomba, non una lapide, nemmeno una croce su cui i familiari potessero piangere.

Nulla.

A 140 anni da questa immane tragedia, soltanto qualche associazione di neoborbonici ricorda l'evento, mentre la stragrande maggioranza degli Italiani vede ancora Garibaldi come un eroe alla Superman e i Piemontesi come i liberatori della Penisola. Credo che questi poveri uomini, se fossero ancora vivi, la penserebbero diversamente, voi che dite?

Uno scorcio delle "suites" del lager destinate ai soldati. In locali come questi i soldati piemontesi gettavano i cadaveri dei defunti nella calce viva per distruggere i corpi

I Nostri Eroi PDF Stampa E-mail

Capua, 13 ottobre 2001

I nostri eroi

Gennaro De Crescenzo

E' da sottolineare, al contrario di quanto possa sembrare in apparenza, la grande attualità dei temi trattati oggi.

Gli ultimi recenti esempi di orgoglio americano sono stati accompagnati o da una perplessità scettica o da un sottile sentimento di invidia: facciamo fatica, noi italiani, a ritrovare lo stesso orgoglio per la nostra Italia o la nostra bandiera.

E' sempre di questi mesi, poi, il tentativo di rispolverare e dare nuova luce a busti garibaldini o a inni e simboli del "risorgimento": è il tentativo magari compiuto anche in buona fede di salvare la nostra storia e la nostra identità ufficiali ma, a prescindere da chi e da come lo faccia, la sensazione è che anche questi tentativi, dopo 140 anni di una storiografia unilaterale e parziale, non servano e non funzionino relegando bandiere e cori ai pochi spazi che un gol di Del Piero o Totti possono concedere a questo a quel campionato mondiale di calcio.

Che cosa fare, allora, per ritrovare o (come sarebbe più corretto dire) "trovare" il nostro orgoglio e la nostra identità, visto che a quest'Italia, non fosse altro che per tutto quello che gli abbiamo dato noi meridionali in questo secolo e mezzo, non possiamo e non vogliamo rinunciare.

Probabilmente possiamo semplicemente azzerare tutto e restituire verità alla storia: non si costruisce, e questi anni ce lo dimostrano, una nazione e un'identità nazionale fondandola sulle mistificazioni, sulle cancellazioni e sulle falsificazioni che hanno da sempre accompagnato la storia dell'unificazione italiana.

C'è da ricostruire tutto un altro percorso storico magari partendo proprio da quel 1799 che vide insorgere diverse popolazioni italiane ed anche europee contro la devastante onda della rivoluzione francese, o magari partendo dalla storia della nostra patria napoletana e dei nostri eroi, quelli che sono sepolti magari qui sotto i nostri piedi, che hanno camminato per queste nostre strade e sono morti combattendo per l'unica nazione che conoscevano e riconoscevano.

In tempi di global e antiglobal (il discorso ? coerente ) l'unica possibilità che ci resta è quella che proprio i Borbone avevano individuato e difeso fino a quelle estreme conseguenze che conosciamo: la valorizzazione delle nostre tradizioni locali, delle vocazioni del nostro territorio e delle aspirazioni della nostra gente.

Non si può pensare che i nostri ragazzi debbano imparare a memoria la storia del Duomo di Firenze o della Cattedrale di Notredame senza conoscere la storia della chiesa di Santa Chiara o di questa chiesa; non si può insegnare la letteratura inglese o quella (oggi di moda) turca senza spiegare chi erano Giambattista Basile o Ferdinando Russo.

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