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Associazione culturale Neoborbonica
L'orgoglio di essere meridionali

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Difesa del regno

Vengono qu? descritte le ultime fasi della difesa del Regno delle due Sicilie, in cui non poche volte si ebbe modo di mostrare al Mondo intero ed alla Storia quale orgoglio, quale abnegazione, quale coraggio e disciplina cartterizzavano il Nostro Popolo ed i Nostri soldati.

La corruzione, il tradimento di molti ufficiali, l'invasione barbara dei piemontesi, il complotto europeo non possono minimamente offuscare i Nostri eroi, cui va tutta la nostra stima ed il nostro pi? profondo ringraziamento.



"Spatz" la regina del sud PDF Stampa E-mail

 Maria Sofia Borbone e la lotta per la liberazione del Sud Italia

In uniforme di ufficiale del Regno delle due Sicilie Maria Sofia di Borbone (detta Spatz), passava in rivista i volontari che parteciparono alla guerra per la liberazione del Sud Italia, a Roma in piazza Farnese, a campo dei fiori e a piazza Mondanara dove si formava militarmente la "truppa". Da ogni parte d’Europa affluivano nel’Urbe personaggi che il Governo papalino "complice" tollerava. Gli uffici di reclutamento funzionavano su tutto il territorio della città eterna, in Francia a Parigi vi erano "delegazioni" per l’arruolamento dei volontari per la campagna di liberazione del Sud Italia. Le armi erano fornite dagli armaioli di via Frattina e a piazza delle Tartarughe, un ebreo di nome Pontecorvo confezionava le uniforme.

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La fortezza che si battè contro i cannoni rigati di Cialdini PDF Stampa E-mail

I fiumi come le montagne hanno costituito da sempre luogo privilegiato della storia che tante volte ha avuto questi siti come tragici sfondi. Il Garigliano ha visto lungo le sue rive affollarsi eserciti disparati in rotta od in avanzata. Nel 1860 i resti dell’armata borbonica traversano il fiume così caro ai romani per raggiungere la fortezza di Gaeta dai cui spalti si svolgerà l’ultima e cavalleresca resistenza dei soldati di re Francesco. L’esito della battaglia del Volturno pur senza risvolti strategici per i borbone ha mostrato il coraggio e l’aggressività di un esercito che da mesi era costretto alla ritirata.

L’attacco lungo la linea dei monti Tifatini per un momento ha distrutto le difese e le certezze dei garibaldesi, mettendo a rischio la vittoria del generale nizzardo. Solo l’inadeguatezza dei comandanti borbonici impedisce di imprimere una svolta diversa al corso degli avvenimenti.

Rimasti sulle stesse posizioni di partenza i napoletani si trovano esposti all’arrivo di un nuovo e più potente esercito, quello regolare piemontese, sceso in campo per cogliere il successo definitivo dalle Marche tolte al Papa .

Si decide di ripiegare verso nord, oltre la linea del Garigliano, in vista della fortezza di Gaeta, tradizionale baluardo della monarchia gigliata.

L’esercito borbonico non sfrutta il fiume che oggi fa da confine tra Lazio e Campania. Timidi tentativi di trinceramento a Traetto, l’odierna Scauri, sono scoraggiati dai bombardamenti navali della flotta piemontese. Quest’ultima, rafforzatasi con le prede belliche dei vascelli napoletani catturati alla fonda,  non ha nessun ostacolo a scorazzare in vista della costa. I francesi, che s’erano impegnati a pattugliare il basso Tirreno per impedire ogni manovra della marina sarda ai fianchi dello schieramento napoletano, hanno lasciato il campo, seguendo evidentemente un protocollo d’intesa che prevedeva mano libera ai sabaudi anche in mare. 

Il Garigliano quindi non costituirà una linea di difesa come è accaduto nella storia ma semplicemente un fiume da attraversare in ritirata utilizzando quel meraviglioso ponte che collegava le due sponde. Francesco II è troppo gentiluomo per usare i sistemi della guerra moderna, ancora una volta evita la tattica della terra bruciata o delle piccole “Stalingrado”. Scauri avrebbe potuto trasformarsi in un bastione di macerie da difendere corpo a corpo. Ma il piccolo re non vuole angustiare il popolo con sacrifici come è successo a Santa Maria C.V., a Capua e come succederà a Formia e Gaeta. Una visione cavalleresca che cozza con lo spirito ottusamente militarista degli invasori che non arretrano di fronte a bombardamenti indiscriminati, esecuzioni e rappresaglie.  

Nonostante tutto la ritirata si svolge oltre il fiume con fermezza ed ordine, vengono rintuzzate le puntate delle avanguardie nemiche ed una massa notevole di uomini di vari reggimenti napoletani si dirige verso Gaeta mentre la retroguardia blocca l’avanzata piemontese. Ancora una volta l’armata denigrata dalla propaganda mostra una tempra salda con i suoi fanti, i suoi artiglieri ed i suoi cavalleggeri che fanno miracoli di eroismo in questo finale di storia a senso unico. Il Garigliano rappresenta il crepuscolo dell’esercito di Franceschiello e del suo breve regno, uno scenario tragico sul cui sfondo si staglia la sagoma massiccia di Gaeta. La fortezza si batterà contro i cannoni rigati di Cialdini,contro le malattie e la fame per mantenere alto l’onore della bandiera. Un assedio che è simbolo di resistenza e che appartiene tutto al popolo meridionale.

Neoborbonici "Terra di Lavoro"

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I lager risorgimentali PDF Stampa E-mail
I lager risorgimentali
di Stefania Maffeo - 12/06/2006

Fonte: centrostudifederici



Migliaia di soldati borbonici nei lager del Nord
Dopo la conquista del Sud, 5212 condanne a morte.

Prigionieri e ribelli puniti con decreti e una legge del 1863

Cinquemiladuecentododici condanne a morte, 6564 arresti, 54 paesi rasi
al suolo, 1 milione di morti. Queste le cifre della repressione
consumata all'indomani dell'Unità d'Italia dai Savoia. La prima pulizia
etnica della modernità occidentale operata sulle popolazioni
meridionali dettata dalla Legge Pica, promulgata dal governo Minghetti
del 15 agosto 1863 " per la repressione del brigantaggio nel
Meridione? 1.
Questa legge istituiva, sotto l'egida savoiarda, tribunali di guerra
per il Sud ed i soldati ebbero carta bianca, le fucilazioni, anche di
vecchi, donne e bambini, divennero cosa ordinaria e non straordinaria.
Un genocidio la cui portata è mitigata solo dalla fuga e
dall'emigrazione forzata, nell'inesorabile comandamento di destino: "O
briganti, o emigranti".
Lemkin, che ha definito il primo concetto di genocidio, sosteneva: "
genocidio non significa necessariamente la distruzione immediata di una
nazione esso intende designare un piano coordinato di differenti azioni
miranti a distruggere i fondamenti essenziali della vita dei gruppi
nazionali. Obiettivi di un piano siffatto sarebbero la disintegrazione
delle istituzioni politiche e sociali, della cultura, della lingua, dei
sentimenti nazionali, della religione e della vita economica dei gruppi
nazionali e la distruzione della sicurezza personale, della libertà,
della salute, della dignità e persino delle vite degli individui non a
causa delle loro qualità individuali, ma in quanto membri del gruppo
nazionale".
Deportazioni, l'incubo della reclusione, persecuzione della Chiesa
cattolica, profanazioni dei templi, fucilazioni di massa, stupri,
perfino bambine (figlie di "briganti") costretti ai ferri carcerari. (
Una pagina non ancora scritta è quella relativa alle carceri in cui
furono rinchiusi i soldati "vinti". Il governo piemontese dovette
affrontare il problema dei prigionieri, 1700 ufficiali dell'esercito
borbonico (su un giornale satirico dell'epoca era rappresentata la
caricatura dell'esercito borbonico: il soldato con la testa di leone,
l'ufficiale con la testa d'asino, il generale senza testa) e 24.000
soldati, senza contare quelli che ancora resistevano nelle fortezze di
Gaeta, Messina e Civitella del Tronto.
Ma il problema fu risolto con la boria del vincitore, non con la
pietas che sarebbe stata più utile, forse necessaria. Un primo
tentativo di risolvere il problema ci fu con il decreto del 20 dicembre
1860, anche se le prime deportazioni dei soldati duosiciliani
incominciarono già verso ottobre del 1860, in quanto la resistenza
duosiciliana era iniziata con episodi isolati e non coordinati
nell'agosto del 1860, dopo lo sbarco dei garibaldini e dalla stampa fu
presentata come espressione di criminalità comune. Il decreto chiamava
alle armi gli uomini che sarebbero stati di leva negli anni dal 1857 al
1860 nell'esercito delle Due Sicilie, ma si rivelò un fallimento. Si
presentarono solo 20.000 uomini sui previsti 72.000; gli altri si
diedero alla macchia e furono chiamati "briganti".
A migliaia questi uomini furono concentrati dei depositi di Napoli o
nelle carceri, poi trasferiti con il decreto del 20 gennaio 1861, che
istituì "Depositi d'uffiziali d'ogni arma dello sciolto esercito delle
Due Sicilie". (La Marmora ordinò ai procuratori di "non porre in
libert? nessuno dei detenuti senza l'assenso dell'esercito". (Per la
maggior parte furono stipati nelle navi peggio degli animali (anche se
molti percorsero a piedi l'intero tragitto) e fatti sbarcare a Genova,
da dove, attraversando laceri ed affamati la via Assarotti, venivano
smistati in vari campi di concentramento istituiti a Fenestrelle, S.
Maurizio Canavese, Alessandria, nel forte di S. Benigno in Genova,
Milano, Bergamo, Forte di Priamar presso Savona, Parma, Modena,
Bologna, Ascoli Piceno ed altre località del Nord.
Presso il Forte di Priamar fu relegato l'aiutante maggiore Giuseppe
Santomartino, che difendeva la fortezza di Civitella del Tronto. Alla
caduta del baluardo abruzzese, Santomartino fu processato dai
(vincitori) Piemontesi e condannato a morte. In seguito alle pressioni
dei francesi la condanna fu commutata in 24 anni di carcere da scontare
nel forte presso Savona. Poco dopo il suo arrivo, una notte, fu trovato
morto, lasciando moglie e cinque figli. Si disse che aveva tentato di
fuggire. Un esempio di morte sospetta su cui non fu mai aperta
un'inchiesta per accertare le vere cause del decesso.
In quei luoghi, veri e propri lager, ma istituiti per un trattamento
di "correzione ed idoneit? al servizio", i prigionieri, appena coperti
da cenci di tela, potevano mangiare una sozza brodaglia con un po' di
pane nero raffermo, subendo dei trattamenti veramente bestiali, ogni
tipo di nefandezze fisiche e morali. Per oltre dieci anni, tutti quelli
che venivano catturati, oltre 40.000, furono fatti deliberatamente
morire a migliaia per fame, stenti, maltrattamenti e malattie.
Quelli deportati a Fenestrelle 2, fortezza situata a quasi duemila
metri di altezza, sulle montagne piemontesi, sulla sinistra del
Chisone, ufficiali, sottufficiali e soldati (tutti quei militari
borbonici che non vollero finire il servizio militare obbligatorio
nell'esercito sabaudo, tutti quelli che si dichiararono apertamente
fedeli al Re Francesco II, quelli che giurarono aperta resistenza ai
piemontesi) subirono il trattamento più feroce.
Fenestrelle più che un forte, era un insieme di forti, protetti da
altissimi bastioni ed uniti da una scala, scavata nella roccia, di 4000
gradini. Era una ciclopica cortina bastionata cui la naturale asperità
dei luoghi ed il rigore del clima conferivano un aspetto sinistro.
Faceva tanto spavento come la relegazione in Siberia. I detenuti
tentarono anche di organizzare una rivolta il 22 agosto del 1861 per
impadronirsi della fortezza, ma fu scoperta in tempo ed il tentativo
ebbe come risultato l'inasprimento delle pene con i più costretti con
palle al piede da 16 chili, ceppi e catene.
Erano stretti insieme assassini, sacerdoti, giovanetti, vecchi, miseri
popolani e uomini di cultura. Senza pagliericci, senza coperte, senza
luce. Un carcerato venne ucciso da una sentinella solo perchè aveva
proferito ingiurie contro i Savoia. Vennero smontati i vetri e gli
infissi per rieducare con il freddo i segregati. Laceri e poco nutriti
era usuale vederli appoggiati a ridosso dei muraglioni, nel tentativo
disperato di catturare i timidi raggi solari invernali, ricordando
forse con nostalgia il caldo di altri climi mediterranei.
Spesso le persone imprigionate non sapevano nemmeno di cosa fossero
accusati ed erano loro sequestrati tutti i beni. Spesso la ragione per
cui erano stati catturati era proprio solo per rubare loro il danaro
che possedevano. Molti non erano nemmeno registrati, sicchè solo dopo
molti anni venivano processati e condannati senza alcuna spiegazione
logica.
Pochissimi riuscirono a sopravvivere: la vita in quelle condizioni,
anche per le gelide temperature che dovevano sopportare senza alcun
riparo, non superava i tre mesi. E proprio a Fenestrelle furono
vilmente imprigionati la maggior parte di quei valorosi soldati che, in
esecuzione degli accordi intervenuti dopo la resa di Gaeta, dovevano
invece essere lasciati liberi alla fine delle ostilità. (Dopo sei mesi
di eroica resistenza dovettero subire un trattamento infame che
incominciò subito dopo essere stati disarmati, venendo derubati di
tutto e vigliaccamente insultati dalle truppe piemontesi. (La
liberazione avveniva solo con la morte ed i corpi (non erano ancora in
uso i forni crematori) venivano disciolti nella calce viva collocata in
una grande vasca situata nel retro della chiesa che sorgeva
all'ingresso del Forte. Una morte senza onore, senza tombe, senza
lapidi e senza ricordo, affinchè non restassero tracce dei misfatti
compiuti. Ancora oggi, entrando a Fenestrelle, su un muro è ancora
visibile l'iscrizione: "Ognuno vale non in quanto è ma in quanto
produce".
Non era più gradevole il campo impiantato nelle "lande di San Martino"
presso Torino per la "rieducazione" dei militari sbandati, rieducazione
che procedeva con metodi di inaudita crudelt?. Così, in questi luoghi
terribili, i fratelli "liberati", maceri, cenciosi, affamati,
affaticati, venivano rieducati e tormentati dai fratelli "liberatori".
Altre migliaia di "liberati" venivano confinati nelle isole, a
Gorgonia, Capraia, Giglio, all'Elba, Ponza, in Sardegna, nella Maremma
malarica. Tutte le atrocità che si susseguirono per anni sono
documentate negli Atti Parlamentari, nelle relazioni delle Commissioni
d'Inchiesta sul Brigantaggio, nei vari carteggi parlamentari dell'epoca
e negli Archivi di Stato dei capoluoghi dove si svolsero i fatti.
Francesco Proto Carafa, duca di Maddaloni, sosteneva in Parlamento:
"Ma che dico di un governo che strappa dal seno delle famiglie tanti
vecchi generali, tanti onorati ufficiali solo per il sospetto che
nutrissero amore per il loro Re sventurato, e rilegagli a vivere nelle
fortezze di Alessandria ed in altre inospitali terre del Piemonte Sono
essi trattati peggio che i galeotti. Perchè il governo piemontese abbia
a spiegar loro tanto lusso di crudeltà  Perchè abbia a torturare con la
fame e con l'inerzia e la prigione uomini nati in Italia come noi?".
Ma della mozione presentata non fu autorizzata la pubblicazione negli
Atti Parlamentari, vietandosene la discussione in aula 3. Il generale
Enrico Della Rocca, che condusse l'assedio di Gaeta, nella sua
autobiografia riporta una lettera alla moglie, in cui dice:
"Partiranno, soldati ed ufficiali, per Napoli e Torino...", precisando,
a proposito della resa di Capua, "...le truppe furono avviate a piedi a
Napoli per essere trasportate in uno dei porti di S.M. il Re di
Sardegna. Erano 11.500 uomini"4.
Alfredo Comandini, deputato mazziniano dell'et? giolittiana, che
compilò "L'Italia nei Cento Anni (1801-1900) del secolo XIX giorno per
giorno illustrata", riporta un'incisione del 1861, ripresa da "Mondo
Illustrato" di quell'anno, raffigurante dei soldati borbonici detenuti
nel campo di concentramento di S. Maurizio, una località sita a 25
chilometri da Torino. Egli annota che, nel settembre del 1861, quando
il campo fu visitato dai ministri Bastogi e Ricasoli, erano detenuti
3.000 soldati delle Due Sicilie e nel mese successivo erano arrivati a
12.447 uomini.
Il 18 ottobre 1861 alcuni prigionieri militari e civili capitolati a
Gaeta e prigionieri a Ponza scrissero a Biagio Cognetti, direttore di
"Stampa Meridionale", per denunciare lo stato di detenzione in cui
versavano, in palese violazione della Capitolazione, che prevedeva il
ritorno alle famiglie dei prigionieri dopo 15 giorni dalla caduta di
Messina e Civitella del Tronto ed erano già trascorsi 8 mesi. Il 19
novembre 1861 il generale Manfredo Fanti inviava un dispaccio al Conte
di Cavour chiedendo di noleggiare all'estero dei vapori per trasportare
a Genova 40.000 prigionieri di guerra. Cavour così scriveva al
luogotenente Farini due giorni dopo: "Ho pregato La Marmora di visitare
lui stesso i prigionieri napoletani che sono a Milano", ammettendo, in
tal modo, l'esistenza di un altro campo di prigionia situato nel
capoluogo lombardo per ospitare soldati napoletani.
Questa la risposta del La Marmora: "non ti devo lasciar ignorare che
i prigionieri napoletani dimostrano un pessimo spirito. Su 1600 che si
trovano a Milano non arriveranno a 100 quelli che acconsentono a
prendere servizio. Sono tutti coperti di rogna e di verminia e quel che 
più dimostrano avversione a prendere da noi servizio. Jeri a taluni
che con arroganza pretendevano aver il diritto di andare a casa perchè
non volevano prestare un nuovo giuramento, avendo giurato fedeltà a
Francesco Secondo, gli rinfacciai altamente che per il loro Re erano
scappati, e ora per la Patria comune, e per il Re eletto si rifiutavano
a servire, che erano un branco di carò che avessimo trovato modo di
metterli alla ragione".
Le atrocità commesse dai Piemontesi si volsero anche contro i
magistrati, i dipendenti pubblici e le classi colte, che resistettero
passivamente con l'astensione ai suffragi elettorali e la diffusione ad
ogni livello della stampa legittimista clandestina contro l'occupazione
savoiarda. Particolarmente eloquente è anche un brano tratto da Civiltà
Cattolica: "Per vincere la resistenza dei prigionieri di guerra, già
trasportati in Piemonte e Lombardia, si ebbe ricorso ad un espediente
crudele e disumano, che fa fremere. Quei meschinelli, appena coperti da
cenci di tela, rifiniti di fame perchè tenuti a mezza razione con
cattivo pane ed acqua ed una sozza broda, furono fatti scortare nelle
gelide casematte di Fenestrelle e d'altri luoghi posti nei più aspri
luoghi delle Alpi. Uomini nati e cresciuti in clima sì caldo e dolce,
come quello delle Due Sicilie, eccoli gittati, peggio che non si fa coi
negri schiavi, a spasimare di fame e di stento per le ghiacciaie".
Ancora possiamo leggere dal diario del soldato borbonico Giuseppe
Conforti, nato a Catanzaro il 14.3.1836 (abbreviato per amor di
sintesi): "Nella mia uscita fu principio la guerra del 1860, dopo
questa campagna che per aver tradimenti si sono perduto tutto e noi
altri povere soldati manggiando erba dovettimo fuggire, aggiunti alla
provincia della Basilicata sortì un prete nemico di Dio e del mondo con
una porzione di quei giudei e ci voleva condicendo che meritavamo di
essere uccisi per la fedeltà che avevamo portato allo notro patrone. Ci
hanno portato innanzi a un carnefice Piemontesa condicendo perchè aveva
tardato tanto ad abbandonare quell'assassino di Borbone. Io li sono
risposto che non poteva giammai abbandonarlo perchè aveva giurato
fedeltà a lui e lui mi à ditto che dovevo tornare indietro asservire
sotto la Bandiera d' Italia. Il terzo giorno sono scappato, giunto a
Girifarchio dove teneva mio fratello sacerdote vedendomi redutto a
quello misero stato e dicendo mal del mio Re io li risposi che il mio
Re no aveva colpa del nostri patimenti che sono stato le nostri
soperiori traditori; siamo fatto questioni e lo sono lasciato".
"Allo mio paese sono stato arrestato e dopo 7 mesi di scurre priggione
mi anno fatto partire per il Piemonte. Il 15 gennaio del 1862 ci anno
portato affare il giuramento, in quello stesso anno sono stato 3 volte
all'ospidale e in pregiona a pane e accua. Principio del 1863 fuggito
da sotto le armi di vittorio, il 24 sono giunto in Roma, il giorno 30
sono andato alludienza del mio desiderato e amato dal Re', Francesco 2
e li  raccontato tutti i miei ragioni" 5.
Un ulteriore passo avanti nella studio di questa fase poco "chiara"
del post unificazione è stato fatto recentemente, quando un ricercatore
trovò dei documenti presso l'Archivio Storico del Ministero degli
Esteri attestanti che, nel 1869, il governo italiano voleva acquistare
un'isola dall'Argentina per relegarvi i soldati napoletani prigionieri,
quindi dovevano essere ancora tanti 6. (Questi uomini del Sud finirono
i loro giorni in terra straniera ed ostile, certamente con il commosso
ricordo e la struggente nostalgia della Patria lontana. Molti di loro
erano poco più che ragazzi 7. Era la politica della criminalizzazione
del dissenso, il rifiuto di ammettere l'esistenza di valori diversi dai
propri, il rifiuto di negare ai "liberati" di credere ancora nei valori
in cui avevano creduto. I combattenti delle Due Sicilie, i soldati
dell'ex esercito borbonico ed i tanti civili detenuti nei "lager dei
Savoia", uomini in gran parte anonimi per la pallida memoria che ne è
giunta fino a noi, vissero un eroismo fatto di gesti concreti, ed in
molti casi ordinari, a cui non è estraneo chiunque sia capace di
adempiere fedelmente il proprio compito fino in fondo, sapendo opporsi
ai tentativi sovvertitori, con la libertà interiore di chi non si
lascia asservire dallo "spirito del tempo".

NOTE
1 - Legge Pica: (" Art.1: Fino al 31 dicembre nelle province infestate
dal brigantaggio, e che tali saranno dichiarate con decreto reale, i
componenti comitiva, o banda armata composta almeno di tre persone, la
quale vada scorrendo le pubbliche strade o le campagne per commettere
crimini o delitti, ed i loro complici, saranno giudicati dai tribunali
militari; (Art.2: I colpevoli del reato di brigantaggio, i quali armata
mano oppongono resistenza alla forza pubblica, saranno puniti con la
fucilazione; (Art.3: Sarà accordata a coloro che si sono già
costituiti, o si costituiranno volontariamente nel termine di un mese
dalla pubblicazione della presente legge, la diminuzione da uno a tre
gradi di pena; (Art.4: Il Governo avrà inoltre facoltà di assegnare,
per un tempo non maggiore di un anno, un domicilio coatto agli oziosi,
ai vagabondi, alle persone sospette, secondo la designazione del Codice
Penale, nonch? ai manutengoli e camorristi; (Art.5: In aumento
dell'articolo 95 del bilancio approvato per 1863  aperto al Ministero
dell'Interno il credito di un milione di lire per sopperire alle spese
di repressione del brigantaggio. (Fonte: Atti parlamentari. Camera dei
Deputati)
2 - Il luogo non era nuovo a situazioni del genere perchè già
Napoleone se ne era servito per detenervi i prigionieri politici ed un
illustre napoletano, Don Vincenzo Baccher, il padre degli eroici
fratelli realisti fucilati dalla Repubblica Partenopea il 13 giugno del
1799, che vi aveva passato 9 anni, dal 1806 al 1815, tornando a Napoli
alla venerabile et? di 82 anni.
3 - Giovanni De Matteo, Brigantaggio e Risorgimento - legittimisti e
briganti tra i Borbone ed i Savoia, Guida Editore, Napoli, 2000.
4 - Questa informazione e tutte le seguenti sono state reperite nei
saggi "I campi di concentramento", di Francesco Maurizio Di Giovine,
nella rivista L'Alfiere, Napoli, novembre 1993, pag. 11 e "A proposito
del campo di concentramento di Fenestrelle", dello stesso autore,
pubblicato su L'Alfiere, dicembre 2002, pag. 8.
5 - Fulvio Izzo, I Lager dei Savoia, Controcorrente, Napoli 1999.
6 - S. Grilli, Cayenna all'italiana, Il Giornale, 22 marzo 1997.
7 - Sul sito


Fonte: http://www.cronologia.it/storia/a1863b.htm
Fenestrelle i primi nomi dei soldati Napoletani PDF Stampa E-mail

DAL CAMPO DI PRIGIONIA DI FENESTRELLE I PRIMI NOMI DEI SOLDATI NAPOLETANI MORTI DURANTE LA FORZATA DETENZIONE

Il nostro primo studio sui campi di prigionia per soldati Napolitani, apparso sulla rivista L'Alfiere, diede origine ad un pi? ampio saggio di Fulvio Izzo sull'argomento (I Lager dei Savoia). Le due ricerche, integrandosi, sono state alla base di una nuova messa a fuoco dell'ultima storia militare del Sud indipendente. Indro Montanelli neg? l'esistenza dei campi di concentramento al Nord per soldati meridionali durante le fasi costitutive dell'unit? d'Italia; ma, la sua, fu una difesa aprioristica e settaria del principio risorgimentale perch? se avesse avuto voglia di documentarsi, ed i nostri studi offrivano la bibliografia inoppugnabile, avrebbe potuto consultare i Carteggi di Cavour, base di partenza per conoscere il problema. Bastava limitarsi al solo volume dedicato all'indice dei precedenti 15 volumi, per trovare a pag. 188 il titolo "prigionieri di guerra Napoletani" con l'indicazione di ben 19 dispacci riportati nel terzo volume "La liberazione del Mezzogiorno" dove si parla diffusamente dei soldati del Sud e del loro triste destino.

Pi? autorevoli studiosi della materia hanno invece accolte le nostre ricerche con maggior seriet? ed il prof. Roberto Martucci, storico dell'Universit? di Macerata, ha scritto con coraggio: "il silenzio della pi? consolidata riflessione storiografica sull'argomento appena evocato, consentirebbe di ipotizzare l'inesistenza o la non rilevanza del fenomeno dei prigionieri nelle guerre risorgimentali, anche a causa della stessa brevit? degli eventi bellici di quella fase storica, generalmente limitati a poche settimane di conflitto. Impressione che risulta rafforzata dalla lettura di testi coevi quali quelli del borbonico Giacinto De Sivo, che dedica poche righe alla questione, o del liberale Nicola Nisco che in proposito tace. Meraviglia di pi? il silenzio conservato dal giornalista e politico liberale Raffaele De Cesare, che ha scritto a pochi decenni dagli avvenimenti, sulla base di testimonianze dirette integrate da un'interessante bibliografia, senza tuttavia prestare la minima attenzione al problema. Il fatto poi che neppure il compiuto affresco legittimista di Sir Harold Acton, tracciato in anni a noi pi? vicini, si riferisca al tema crepuscolare della prigionia, sembrerebbe autorizzare una presa di distanza dalle poche righe con cui padre Butt? tent? a suo tempo di sfidare l'oblio dei posteri".

La questione assume per? contorni del tutto differenti se, abbandonato l'alveo della ricostruzione storiografica, proviamo ad interrogare quell'inesplorato e vasto microcosmo costituito dall'imponente Carteggio del conte di Cavour. Occultati tra migliaia di dispacci troviamo, infatti, una ventina di documenti che evocano a grandi linee una questione non marginale, suggerendo approfondimenti archivistici tali da riempire una pagina restata finora bianca nella storia militare dell'unificazione italiana. Essi aprono anche interessanti prospettive di ricerca riguardo alle relazioni interpersonali tra settentrionali e meridionali e all'uso di alcuni stereotipi divenuti di uso frequente nei decenni postunitari, per qualificare gli appartenenti ai ceti pi? umili del cessato Regno delle Due Sicilie.

Sottoscriviamo le parole dello storico con una riserva: la conoscenza del problema relativo alla prigionia dei soldati Napolitani colmer? certamente "una pagina restata finora bianca nella storia militare dell'unificazione italiana" ma andr? a formare, principalmente, il capitolo ricostruito a peritura vergogna di una classe politica e di una dinastia che unificarono in quel modo, "col ferro e col fuoco", Stati di tradizione italiana di gran lunga superiore a quella del Piemonte.

Tornando ai nostri studi dobbiamo registrare un passo in avanti della ricerca, divenuta ormai un tema caro a tanti studiosi che si sentono eredi, oltre che discendenti, del cessato Regno delle Due Sicilie. Il passo in avanti riguarda la situazione del campo di concentramento di Fenestrelle. Questo luogo, situato a quasi duemila metri di altezza, sulle montagne piemontesi, divenne la base di raggruppamento dei soldati borbonici pi? ostinati: quelli, per intenderci, che non vollero finire il servizio militare obbligatorio nell'esercito sabaudo, quelli che si dichiararono apertamente fedeli al Re Francesco II, quelli che giurarono aperta resistenza ai piemontesi.

Il luogo non era nuovo a situazioni del genere perch? gi? Napoleone se ne era servito per detenervi i prigionieri politici ed un illustre Napoletano, don Vincenzo Baccher, il padre degli eroici fratelli realisti fucilati dalla repubblica partenopea il 13 giugno del 1799, vi aveva passato 9 anni, dal 1806 al 1815, tornando a Napoli alla venerabile et? di 82 anni.

A Fenestrelle, quindi, giunsero i primi "terroni" ed in questo luogo molti di essi cessarono di vivere. Il numero di coloro che trovarono la morte non ? certo perch? le cronache locali parlano di migliaia di soldati prigionieri morti ma non registrati. I loro corpi venivano gettati, "per motivi igienici", nella calce viva collocata in una grande vasca situata nel retro della chiesa che sorgeva all'ingresso del Forte. Il personale addetto alla fortezza conferma ancora oggi l'esistenza della vasca.

Ma a Fenestrelle funzionava anche un ospedale da campo dove furono ricoverati alcuni prigionieri. Coloro che morirono nell'ospedale vennero annotati nel libro dei morti di Fenestrelle e la Provvidenza ha permesso che alcune annate del libro parocchiale dei morti si sia potuto consultare, anche se molto velocemente.

Il dottor Antonio Pagano, accompagnato dal dott Piergiorgio Tiscar, discendente del maggiore don Raffaele Tiscar de los Rios, capitolato a Civitella del Tronto, recatosi il 22 maggio scorso a Fenestrelle in sopralluogo per organizzare la commemorazione dei nostri prigionieri che si terr? sabato 24 giugno, ha visionato il libro dei morti ed ha stilato velocemente l'elenco che ora si pubblica. I registri del 1860 e del 1861 sono scritti in francese ed i nostri soldati vengono definiti "prigionieri di guerra napoletani". I registri del 1862, del 1863, del 1864 e del 1865 sono scritti in italiano e definiscono i prigionieri morti "soldati cacciatori franchi". Mancano all'appello i registri dal 1866 al 1870 perch? prestati ad uno studioso di Torino. Avremmo modo, in futuro, di colmare la lacuna e correggere eventuali errori di trascrizione

Elenchiamo ora i nomi dei nostri Caduti con religiosa emozione al fine di restituire alla loro memoria, dopo 140 anni, gli onori ed il rispetto che meritano per il sacrificio sopportato.

  • ANNO 1860
    1. Garloschini Pietro, m. 1.10, di Montesacco (?)
    2. Conte Francesco, m. 11.11, di Isernia, anni 24
    3. Leonardo Valente, m. 23.11, di Carpinosa, anni 23
    4. Palatucci Salvatore, m. 30.11, di Napoli, anni 26
    5. Suchese (?) Francesco, m. 30.11, di Napoli
  • ANNO 1861
    1. Scopettino Matteo, m. 24.8, di Chieti, anni 22
    2. Miggo Salvatore, m. 7.10, di Galatina (Lecce) anni 24
  • ANNO 1862
    1. Donofrio Carmine, m. 16.1, di Villamagna (Chieti) , anni 27
    2. Caviglioli Marco, m. 29.1, di Cosciano (?)
    3. Palmieri Biagio, m. 5.2, di Teano, anni 23
    4. Visconti Domenico, m. 16.4, di Cosenza, anni 28
    5. Mulinazzi Francesco, m. 20.7, di Benevento, anni 24
    6. Gentile Rocco, m. 24.7, di Avellino, anni 25
    7. Leo Vincenzo, m. 18.9, di Veroli (Frosinone), anni 26
    8. Lombardi Nicola, m. 25.9, di Modigliano (?)
    9. Vettori Antonio, m. 7.11, di Amantea, anni 26
  • ANNO 1863
    1. Mazzacane Cristoforo, m. 18.2, di (?)
    2. Pripicchio Raffaele, m. 21.3, di Paola, anni 23
    3. Giampietro Giovanni, m. 9.5, di Moliterno, anni 28
    4. Milotta Giuseppe, m. 23.5, di Sala, anni 24
    5. Spadari Ruggero, m. 25.5, di Barletta, anni 24
    6. Serbo Tommaso, m. 17.8, di Triolo - Gareffa (?), anni 26
    7. Gaeta Giordano, m. 11.10, di Pellizzano (Salerno), anni 32
    8. Gorace Domenico, m. 15.12, di Palma, anni 32
    9. Grossetti Angelo, m. 23.12, di Mura (Vestone), anni 25
  • ANNO 1864
    1. Masareca Giuseppe, m. 20.1, di Basilicata, anni 22
    2. Morino Santo, m. 29.1, di Mussano (Lecce), anni 26
    3. Pastorini Andrea, m. 16.2, di Maregno (?), anni 27
    4. Montis Salvatore, m. 24.4, di Tramalza (?)
    5. Palermo Giovanni, m. 12.5, di Atripalda, anni 32
    6. Cirillo Salvatore, m. 17.5, di Boscotrecase (Napoli), anni 32
    7. Pellegrini Massimiliano, m. 11.6, di Colorno (?), anni 26
    8. Mossetti Antonio, m. 5.7, di Montalbano Jonico, anni 22
    9. Di Giacomo Pasquale, m. 8.7, di Sessa Aurunca, anni 23
    10. Giannetto Antonio, m. 19.7, di Zarca (?), anni 30
    11. Davarone Francesco, m. 25.7, di Avellino, anni 26
    12. Carpinone Cosimo, m. 4.11, di Fossaceca, anni 31
    13. Bononato Carmelo, m. 17.11, di Belvedere, anni 27
    14. Melloni Antonio, m. 20.11, di Sersini (?), anni 24
  • ANNO 1865
    1. Laise Nunziato, m. 25.1, di Cetrara, anni 24
    2. Barese Sebastiano, m. 30.1, di Montecuso, anni 26
    3. Catania Angelo, m. 11.2, di Ischitella, anni 22
    4. Pessina Luigi, m. 21.2, di Gragnano, anni 27
    5. Mossuto Giuseppe, m. 1.4, di Moriale, anni 25
    6. Guaimaro Mariano, m. 8.4, di Sala Consilina, anni 30
    7. Torrese Andrea, m. 11.5, di Avenza, anni 21
    8. Colacitti Salvatore, m. 15.5, Montepaone, anni 24
    9. Santoro Giuseppe, m. 20.5, di Sattaraco (?), anni 27
    10. Tarzia Pietro, m. 31.5, di Valle d'Olmo, anni 24
    11. Palmese Tommaso, m. 6.9, di Saviano, anni 24
    12. Ferri Marco, m. 11.10, di Venafro, anni 24

Elenco compilato a Fenestrelle
Il gioved? 25 maggio 2000, alle ore 12,30, da:
- Antonio Pagano
- Pier Giorgio Tiscar
?

Questi soldati del Sud finirono i loro giorni in terra straniera ed ostile, certamente con il commosso ricordo e la struggente nostalgia della Patria lontana. Erano poco pi? che ragazzi: il pi? giovane aveva 22 anni, il pi? vecchio 32. Se non fossero stati relegati a Fenestrelle probabilmente sarebbero divenuti "briganti" e, forse, anche per questo motivo, furono relegati a Fenestrelle, fortezza del liberale piemonte, dove, entrando, su un muro ? ancora visibile l'iscrizione: "OGNUNO VALE NON IN QUANTO E' MA IN QUANTO PRODUCE" . Motto antesignano del pi? celebre e sinistro slogan che si poteva leggere nei lager nazisti: "ARBEIT MACHT FREI".

Non deve destare meraviglia l'abbinamento perch? la guerra del risorgimento, come ha giustamente osservato di recente Ulderico Nistic?, fu una guerra ideologica. E la guerra ideologica non pu? che concludersi con lo sterminio del "nemico".

FRANCESCO MAURIZIO DI GIOVINE

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I ribelli di Ferdinando
di Generoso d'Agnese

Furono soltanto 20 mila (su 72 mila previsti) i giovani che si presentarono alla prima leva militare del Regno d'Italia nel 1861. Il governo decise di provvedere con mezzi sbrigativi alla risoluzione del problema, inviando reparti regolari dell'esercito piemontese nei piccoli paesi del Meridione. Rastrellamenti e deportazioni di tutti maschi dell'apparente età dai venti ai 25 anni, e in alcuni casi fucilazioni sommarie (Castelsaraceno, Carbone, Latronico), per ragazzi in gran parte figli di contadini e all'oscuro della chiamata alle armi, segnarono una delle pagine pi? oscure dei primi momenti del Regno d?Italia. Alcuni di questi ragazzi riuscirono a sfuggire definitivamente a una leva che non capirono, riparando sui piroscafi in partenza per il Nuovo Mondo, aggiungendo il proprio nome a quello di molti ex soldati borbonici in fuga da una coscrizione obbligatoria che spesso diveniva uno stato di semi-prigionia. Furono soprattutto i più valorosi difensori degli ultimi baluardi di Re Ferdinando a pagare il prezzo più alto. I soldati di Gaeta e di Civitella del Tronto infatti vennero letteralmente deportati verso campi di concentramento in Piemonte affinchè diventassero innoqui.

Per 684 valorosi soldati meridionali la sorte fu invece meno amara, almeno in un primo momento. Grazie all'intermediazione dell'americano Chatham Roberdeau Wheat, protagonista della guerra d'indipendenza insieme alla brigata inglese, ai militari fu data la possibilità di scegliere tra l'internamento nei campi di concentramento e l'esilio negli Stati del Vecchio Sud, per riprendere in America una nuova vita.

Quelli che scesero quindi sul molo di New Orleans dalle navi "Elisabetta" "Olyphant" "Utile" "Charles & Jane" "Washington" e "Franklin" non erano semplici braccia da lavoro per i campi della Louisiana. Tra la fine delle ostilità italiane e lo sbarco a New Orleans, la causa secessionista aveva gettato semi forti e virulenti tra le colonie che stavano per dar vita alla Confederazione americana. L'arrivo, tra dicembre del 1860 e gli inizi del 1861 in Louisiana, di uomini che conoscevano bene l'uso delle armi e che avevano combattuto con onore nella guerra contro le truppe garibaldine, venne visto quindi con occhio molto interessato da chi aveva già in mente una forza armata indipendente dall'Unione. Per gli scomodi ex soldati borbonici ebbe inizio a New Orleans una nuova vita che nel giro di pochi mesi li vide ancora una volta indossare una divisa e mettere un fucile a tracolla, camminare su strade infangate e scavare trincee. Divennero i soldati della Confederazione americana. Ancora una volta ribelli e dalla parte sbagliata della storia. Nonostante tutto leali e coraggiosi anche in una terra sconosciuta.

Lo stato della Luisiana reclutò gran parte di questi uomini nel 6 reggimento formato dalle brigate Europee: nacquero il battaglione dell' "Italian guards" e la "Garibaldi Legion" (presto rinominato Legione Italiana in seguito alla protesta degli stessi soldati borbonici) mentre il 10 reggimento di Fanteria della Luisiana la I Compagnia venne costituito esclusivamente da ex soldati di Re Ferdinando. Veterani che durante il progressivo inasprimento della guerra vennero via via inseriti in quasi tutti i reggimenti della Confederazione.

Pagarono un tributo notevole alla causa della guerra. Parteciparono a tutte le battaglie più importanti del conflitto e il 10 aprile del 1865, alla resa del Generale Lee ad Appomatox si poterono contare solo pochi superstiti. Il 10 reggimento, su 987 effettivi iniziali, si arrese con soli 18 reduci. Tra questi vi era Salvatore Ferri, già soldato del Regio esercito borbonico.

Una condotta esemplare, quella tenuta da soldati che già avevano subito l?onta della sconfitta in Italia e che tra le file opposte riconobbero anche diversi nemici che avevano indossato la casacca da garibaldini. Caduta New Orleans, i superstiti dei battaglioni formati da italiani ex borbonici furono inviati a Port Hudson dove si distinsero per il coraggio e l'abnegazione e più di uno ottenne anche un riconoscimento pubblico. Per i soldati che perdono la guerra e per una nazione che cessa di esistere  come avvenne per la Confederazione  non vi è nessuna medaglia al valore militare a ricordarne le gesta. Per Gian Battista il cui stesso nome attinge all'ironia della storia  invece la gloria arrivò al momento della sepoltura. Nato a Lavagna (Genova) nel 1831, combattente con il grado di sergente nel 27 reggimento della Virginia, soldato valorosissimo della brigata Stonewall, Gian Battista Garibaldi visse fino al 1914 e fu seppellito nel cimitero di Lexington, accanto al Generale Lee e al generale Jackson, a ricordarne il grande eroismo.

Una storia esemplare, quella di Gian Battista, che scelse di servire contro tutto tutti e tutto la bandiera della Confederazione, convinto assertore della libertà nei confronti dell'Unione e nemico temibile per ogni soldato dell'Unione.

Come lui, gli altri ex borbonici mantennero alto l'onore di Re Ferdinando, memori anche delle disumane condizioni nelle quali erano stati tenuti da prigionieri dei Piemontesi. I loro nomi non hanno ricevuto l'onore di una lapide sul campo di battaglia di Gettysburg (cosa avvenuta invece per gli italiani della Garibaldi Guard nordista), ma sono rimasti impressi nella memoria storica della Lousiana che ne aveva raccolto le tracce nel sacrario confederato locale (Confederate Memorial Hall), distrutto dalla furia dell'uragano Katrina. Nomi che ben presto troveranno spazio nei musei storici di Civitella del Tronto, per rendere onore a combattenti leali e coraggiosi. Capitati dalla parte sbagliata della storia.

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