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1799

In questa sezione viene descritta, fedelmente alle documentazioni e testimonianze, l'epopea del 1799 napoletano, con l'invasione francese, la nascita della Repubblica Napoletana, e infine la liberazione del Sud ad opera dell'esercito di Sanfedisti guidato dal Cardinale F.Ruffo.

Su questo periodo storico molto è stato scritto, ma molto poco su quanto è accaduto realmente, nel rispetto della Verità e di quanti persero la vita difendendo la propria Nazione e la propria Libertà; giacobini di ieri e di oggi continuano a definire i Nostri Eroi come dei barbari mentre i carnefici repubblicani come ultima classe dirigente valida del Mezzogiorno.



MASSONERIA CONTRO NAPOLI PDF Stampa E-mail
CONTRO I MASSONI DI IERI E DI OGGI…
 
Convegno a Napoli a cura della Gran Loggia d’Italia su “La rivoluzione e l’albero della libertà a 210 anni dalla Primavera Napoletana”. La sede, ovviamente, quella dellIstituto Italiano per gli Studi Filosofici, luogo-simbolo del giacobinismo locale.
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MASSACRO DI MONACI NELL’ ABBAZIA DI CASAMARI NEL 1799 PDF Stampa E-mail

Si tratta di un gruppo di monaci cistercensi (quattro di origine francese, un italiano, un cecoslovacco), che in buona parte, fuggiti dagli orrori della Rivoluzione Francese e confluiti singolarmente nell’Abbazia di Casamari, trovarono qui, tutti insieme il martirio, per mano degli stessi soldati dell’esercito rivoluzionario francese, in ritirata da Napoli.

Il contesto storico
Il 23 gennaio 1799, le truppe francesi del generale Championnet, occuparono Napoli, mentre il re Ferdinando IV, si rifugiava a Palermo; i giacobini fautori della repubblica, avevano occupato il 22, Castel Sant’Elmo che sovrasta la città, proclamando la Repubblica Partenopea, chiedendo il giorno dopo, al generale francese di riconoscerla e di nominare un governo provvisorio.   Il 7 febbraio il cardinale Fabrizio Ruffo (1744-1827), con l’assenso del re, sbarcò nella sua Calabria con pochi uomini, per tentare un’opposizione armata e popolare, contro i francesi e i cosiddetti giacobini
L’ esercito sanfedista” del cardinale, conquistò man mano la Calabria, la Puglia, la Basilicata, riconqiustando con le sue forze  tutte le cittadine, come Altamura, Crotone cadute sotto il nefasto regime giacobino.
Dal mare il generale inglese Orazio Nelson, con la sua flotta e le truppe turche e russe, inviate dai loro sovrani in soccorso del re Ferdinando IV, sostenevano la marcia del cardinale Fabrizio Ruffo, verso Napoli, la capitale del Regno.
Intanto nell’aprile 1799, le truppe francesi subivano delle sconfitte in Lombardia, nella guerra contro l’Austria, pertanto ciò determinò l’abbandono, di Napoli prima, e del Regno delle Due Sicilie poi, delle truppe francesi del generale Championnet, che presero a risalire la Penisola, lasciando soli i “patrioti” della Repubblica Partenopea, che oltre le preponderanti forze nemiche, dovettero affrontare anche l’insurrezione interna dei cosiddetti “lazzaroni”. La Repubblica cadde definitivamente il 19-23 giugno

La ritirata delle truppe francesi
Le truppe francesi, costrette dall’avanzare del riorganizzato esercito borbonico e dalla presenza della flotta inglese, ancorata nelle isole d’Ischia e di Procida, prese la via del ritorno risalendo la penisola per la strada litoranea, attraverso Gaeta e Terracina.
Lo Stato Pontificio era anch’esso invaso dai Francesi e lo stesso papa Pio VI (1717-1799), si trovava prigioniero di Napoleone Bonaparte in Francia, dove morirà il 29 agosto 1799; un distaccamento di circa 15.000 soldati al comando dei generali Vetrin e Olivier, prese però la strada interna, giungendo il 10 maggio a Cassino, spopolata dagli abitanti rifugiatosi sui monti.
Anche la millenaria abbazia benedettina di Montecassino fu devastata, saccheggiata e profanata, dai circa 1500 uomini della colonna del generale Olivier, saliti fin lassù; fortunatamente i monaci si erano messi in salvo a Terelle, portando con loro le cose più preziose e artistiche.
La ritirata continuò nella provincia di Terra di Lavoro e cittadine come Aquino, Roccasecca, Arce, l’11 maggio 1799 furono saccheggiate e migliaia abitanti uccisi; poi i francesi anziché deviare per Ceprano, si diressero a Isola del Liri, dove il 12 maggio perpetrarono ogni sorta di violenza, saccheggio, profanazione di chiese e distruzioni e questa volta con un efferato eccidio di oltre 500 abitanti, che avevano cercato di opporre una debole resistenza; gli oltre cinquecento nomi, sono annotati nel registro dei defunti della Chiesa di San Lorenzo, tutti uccisi il 12 maggio 1799, giorno di Pentecoste.
Poi mentre la truppa riprendeva la strada per il Nord, un drappello di venti soldati sbandati, della formazione “leopardi”, il 13 maggio penetrò all’interno dell’Abbazia di Calamari, alla ricerca di altro bottino; secondo le consuetudini di quei tempi, quando scarseggiando la paga governativa, lo stesso generale Bonaparte, autorizzò il saccheggio per sostenersi da parte dei suoi soldati.

Il martirio dei sei monaci cistercensi
L’Abbazia di Casamari, posta in una frazione del Comune di Veroli , appartiene all’Ordine Cistercense, fondato da s. Roberto di Molesmes nel 1098, a Citeaux (Francia), il cui nome latino era Cistercium; Ordine che ebbe il più grande sviluppo e regolamentazione nel 1109, con il terzo abate generale s. Stefano Harding (1060-1134).
L’Abbazia di Casamari sorse sul luogo di un’antica fondazione benedettina, passata poi nel 1150 ai Cistercensi; la chiesa del 1217 e il grandioso complesso delle costruzioni conventuali, sono opera di un’unica mente direttiva che guidò l’opera delle abili maestranze.
Il complesso edilizio, concepito secondo un chiaro e unitario piano cistercense, ricorda l’architettura borgognona per le proporzioni, la purezza delle forme e i prevalenti caratteri del primo gotico francese.
In questo gioiello dell’arte cistercense e cenobio insigne di spiritualità, viveva la comunità dei monaci cistercensi sotto la guida del priore padre Simeone Cardon; il 13 maggio 1799 il clima era di paura, per le notizie degli eccidi e devastazioni perpetrati dalla soldataglia francese e quando alle otto di sera, mentre la comunità si accingeva al canto della ‘compieta’, che precede il grande silenzio della notte del monastero, il gruppo di una ventina di soldati francesi sbandati, irruppe all’interno dell’abbazia, arrecando agli indifesi monaci, spavento, disperazione, sangue e morte.
Mentre la maggior parte di essi, scappavano spaventati e inermi cercando un possibile rifugio, sei monaci coraggiosamente ed eroicamente, restarono a difesa dell’Eucaristia, cercando di nascondere le sacre pissidi o riparando alla profanazione, raccogliendo le particole consacrate disperse sull’altare e per terra.
La soldataglia atea sfogò su di loro la rabbia di non trovare denaro ed oggetti preziosi, tranne i calici sacri difesi dai monaci e a colpi di sciabola, baionetta, archibugio, uccise i sei cistercensi prima di lasciare l’abbazia.
I corpi dei sei martiri, furono poi sepolti dai confratelli ritornati dopo il gran pericolo; attualmente le loro reliquie riposano nella chiesa abbaziale; una serie di bei dipinti, opera di Mario Barberis, custoditi nel Museo dell’Abbazia, illustrano alcune fasi del martirio; di seguito si elencano i loro nomi e brevi cenni biografici per ognuno:
Priore, padre Simeone Cardon; padre Domenico Zawrel, fra Maturino Pitri, fra Albertino Maisonade, fra Modesto Burgen, fra Zosimo Brambat.

Padre Simeone Cardon
Priore e cellerario, nacque a Cambrai, fu monaco benedettino a Parigi, durante la Rivoluzione fuggì dalla Francia e raggiunse rocambolescamente Casamari il 5 maggio 1795, dove vestì l’abito cistercense e, poi, emise la professione di stabilità.
Per bontà ed esemplarità di vita fu nominato, prima economo e successivamente, priore dell’abbazia. All’approssimarsi dell’esercito francese in ritirata, dapprima decise di fuggire con i monaci, ma poi, li esortò a rimanere.
Il 13 maggio egli accolse il drappello degli sbandati e distribuì loro cibo e bevande; davanti alla loro furia distruttiva, dapprima si nascose nell’orto, ma rientrato in sé, ritornò nella sua cella dove fu assalito dai soldati che reclamavano i tesori del monastero. Con la sciabola fu ferito alla testa ed alle mani mentre cercava di parare i colpi.
Morì verso le sette del mattino seguente; aveva cinque ferite, due colpi di baionetta nel corpo, un colpo di sciabola nella testa, uno sul braccio destro e uno sulla coscia sinistra.

Padre Domenico Zawrel
Maestro dei novizi, nato a Codovio in diocesi di Praga, fu dapprima religioso domenicano della Congregazione di Santa Sabina di Praga. Venne a Casamari nel maggio 1776, il mese seguente ricevette l’abito di novizio e, l’anno dopo, professò i voti solenni.
Nella tragica notte del 13 maggio, raccolse per due volte le sacre specie sparse, prima nella chiesa, poi nella cappella dell’infermeria, dove rimase in adorazione con due altri confratelli, fra Albertino e fra Desideo.
Furono sorpresi da tre soldati che gettarono per terra le particole, uccisero con due colpi di sciabola fra Albertino, ferirono gravemente fra Desidero, “e infine lasciarono morto ai loro piedi anche il padre Domenico, dopo avergli tirati più colpi di spada sul capo ed in altre parti del corpo; subito spirò nella medesima cappella dicendo: Jesus Maria”.

Fra Maturino Pitri
Oblato di Fontaineblau, figlio di uno dei giardinieri del re di Francia, fu arruolato e, poi, destinato alla campagna in Italia.
Nel gennaio del 1799 fu colpito da una terribile asma di petto e da febbre e fu ricoverato, con altri undici commilitoni, nell’ospedale “La Passione” di Veroli.
Dichiarato prossimo a morte, si confessò al Padre Simeone Cardon che era capitato nell’ospedale e gli dichiarò di voler vestire, se fosse guarito, l’abito cistercense.
Tre giorni dopo, perfettamente guarito, fu nascosto per una notte nell’appartamento del curato dell’ospedale, don Giuseppe Viti, e di buon mattino, fu poi accompagnato a Casamari.
Il 13 maggio, raggiunto da un colpo di fucile nel corridoio del noviziato, si trascinò e morì nella sua cella.

Fra Albertino Maisonade
Corista, francese di Bordeaux, dopo lo scoppio della Rivoluzione fuggì e si portò a Casamari, dove fu ricevuto ed ammesso fra i monaci del coro.
Nel novembre del 1792 vestì l’abito di novizio e, nell’anno successivo, emise la professione semplice secondo un privilegio, allora specialissimo, concesso alla Comunità di Casamari.
Esemplare negli atti di vita comunitaria, manifestò sempre una devozione profonda per l’adorazione del Sacramento dell’altare. Il 13 maggio, all’arrivo dei francesi, invece di fuggire si ritirò in adorazione davanti al Santissimo Sacramento che era stato profanato nuovamente nella cappella dell’infermeria.
Raggiunto dai soldati francesi, fu colpito e finito a colpi di sciabola sul posto, con padre Domenico Zawrel.

Fra Modesto Burgen
Converso, francese di Borgogna, fu dapprima religioso nell’abbazia cistercense di Settefonti. Durante la Rivoluzione fuggì e si portò a Casamari dove fu accolto fraternamente. Nel gennaio 1796 fu ammesso al noviziato e, nell’anno seguente, emise i voti semplici.
Anch’egli religioso di vita esemplare, in quell’infausto 13 maggio fu inseguito nel corridoio del noviziato, fu raggiunto da un colpo di archibugio e poi finito a colpi di sciabola.

Fra Zosimo Brambat
Converso, milanese di nascita, chiese alla fine del 1792, di essere ricevuto in Casamari. Trascorse due anni, secondo la consuetudine, con l’abito di oblato, poi, nel novembre 1794, fu ammesso al noviziato e, nell’anno successivo, emise la professione semplice nelle mani dell’abate Pirelli.
In quel terribile 13 maggio 1799, fu dapprima raggiunto da un colpo di archibugio e, poi, da colpi di sciabola mentre, nel disbrigo di un’obbedienza, “passava per la saletta per andare in refettorio e avanti la scala della farmacia”.
Riuscì tuttavia a nascondersi, ma tre giorni dopo, il 16 maggio, morì poco fuori delle mura del monastero, dopo essersi incamminato alla volta di Boville per ricevere il sacramento dell’Unzione degli infermi.

I frati massacrati dalle orde francesi sono stati proclamati servi di Dio dalla chiesa cattolica.

 

 

 

 

Gia durante la repubblica napoletana li portavano a Fenestrelle? PDF Stampa E-mail

Da una lettera di Napoleone al fratello a Napoli:

"Devi essere più cattivo con i napoletani, è inutile che me li mandi a Fenestrelle, io non so che farmene, devi fucilarli, fucilarli, fucilarli!"

La lettera fa impressione ed è stata tradotta grazie a Mario Belotti.

Metto il link della versione in inglese.

Ma anche di quella in francese, affinchè i celebratori giacobini nostrani si rendano conto a chi tessono le loro lodi.

http://books.google.it/books?id=-qtc9PIX58MC&pg=PA102&dq=fenestrelle+Napoleon#PPA102,M1  (INGLESE)

http://books.google.it/books?id=FLglpbsiuKYC&pg=PA204&dq=fenestrelle+Napoleon#PPA204,M1(FRANCESE)

saluti

Davide

Comitato Neoborbonico della Lombardia

Michele Pezza PDF Stampa E-mail

FRA' DIAVOLO

Michele Pezza nasce ad Itri, nel distretto di Gaeta, provincia di Terra di lavoro del Regno di Napoli, nel 1771. Una malattia che lo colpisce da bambino convince la madre a chiedere grazia a S. Francesco con il voto di vestirlo da fraticello (com’era in uso dalle nostre parti, vedi S. Ciro a Portici) fino alla consumazione dell’abito. Il carattere abbastanza vivace del ragazzo cozza con il suo abbigliamento e gli affibbiano il contro-nome  di Fra’Diavolo. Da giovanotto va a lavorare dal mastro sellaio della sua città ma, ai bruschi e maneschi rimproveri di costui, reagisce istintivamente con il suo carattere focoso colpendolo a morte. Per fuggire deve liberarsi anche del fratello della vittima che vuole ucciderlo. Diventa a 27 anni un latitante condannato in contumacia. Il 1798 è un anno fatidico per la sua pacifica Patria che sta per essere invasa dai predoni della rivoluzione francese e circola un bando reale per reclutare volontari per la difesa dei confini. E’ l’occasione propizia per il pentito Michele che fa commutare la sua pena in 13 anni di servizio militare. Allo sfascio dell’esercito regio mal condotto da Mack, l’itrano si trova in divisa nella sua terra in quel tardo autunno che vede apparire le avanguardie francesi.   Senza comandanti e senza ordini, istintivamente si mette a capo di tutti quelli che vogliono difendere i propri Valori radunandoli attorno al forte di Santandrea che si trova lungo l’originario tratto della Via Appia, in una profonda gola tra Itri e Fondi. Riflettendo sulla palese inferiorità in uomini e mezzi, capisce che non è possibile sfidare in campo aperto il nemico che le voci dipingono come spietato e sempre vittorioso da Parigi fino a Roma.    

                               i predoni francesi scendono in Italia

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La Battaglia di Lauria PDF Stampa E-mail

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