IL 1820 NON FU (SOLO) "SOGNO DI UNA GENERAZIONE". ALTRE FONTI E ALTRE STORIE MENO ANTIBORBONICHE PER UN DIBATTITO CHE RICHIEDIAMO AL “MATTINO”. “Napoli 1820, il sogno di una generazione” è il titolone del
Mattino per un articolo che sintetizza la storia della cosiddetta “rivolta antiborbonica”. È chiaro che ogni giornale si sceglie la sua linea
culturale ma è chiaro che anche noi abbiamo il diritto di pensare che un
giornale così legato a Napoli come Il Mattino avesse e abbia il dovere
di dare spazio a tutta la storia di Napoli e del Sud evitando di
raccontare solo e sempre una parte di quella storia e cioè quella
antiborbonica, giacobina, “carbonara-massonica”, liberale o
risorgimentalista… Qualche osservazione, allora, nell’ottica di quello
che potrebbe essere un dibattito utile e doveroso. L’articolo firmato
dal prof. Luigi Mascilli Migliorini, per descrivere quei moti usa parole
ed espressioni significative: marce “liete” dei soldati, rammarico,
rimpianti, eroismo, coraggio, generosità, speranze o quei “sogni di una
generazione” ripresi anche nel titolo. In sintesi, con l’eccezione di
quell’entusiasmo “delle popolazioni” attribuito (per fortuna e
giustamente) a “cronache compiacenti”, siamo di fronte ad quadro
romantico di una rivoluzione che rivoluzione non fu e che di certo non
fu molto romantica. E così, per Mascilli, 127 soldati diventano “larga
parte della società meridionale” e così la storia di Pietro Colletta
viene utilizzata come unica fonte pur essendo il Colletta un generale
notoriamente coinvolto in quelle vicende e chiedere a lui “lumi” è come
chiedere notizie sulla freschezza dei prodotti al famoso venditore
napoletano itinerante di acque (“fredde come neanche la neve”). Nessun
riferimento ad altre fonti spesso per giunta anche di parte tutt’altro
che “borbonica”. Nessun riferimento, ad esempio, ad un inedito testo di
Francesco Saverio Nitti conservato presso l’Archivio del Senato (“Sui
moti di Napoli del 1820”). Per Nitti “la rivoluzione del 99 ebbe i suoi
retori ma anche i suoi martiri: la rivoluzione del 1820 quasi non ebbe
che retori… la setta dei Carbonari era composta da possidenti,
benestanti delle classi medie, militari desiderosi di avanzamenti,
provinciali e curiali bisognosi di impieghi, una setta piena di misteri
massonici che fra le altre cose giuravano l’esterminio di tutti i re… La
monarchia borbonica non aveva contro di sé che una setta…”. Per Nitti,
allora, Guglielmo Pepe era “un ciarlatano ed un eroe che sconciamente
imitava fogge e gesti di Murat” e tutta quella “rivoluzione non fu opera
di popolo ma di cospiratori e di forensi, battaglieri in pace, pacifici
in guerra”. Altro che “la larga parte della società meridionale” come
sostenuto da Mascilli. Nessun riferimento nell’articolo di Mascilli (che
è storico famoso e di professione) ad altre fonti come, ad esempio,
quelle conservate presso l’Archivio di Stato di Torino a proposito delle
crudeltà di quei moti in Sicilia con “la barbara carneficina dei due
Principi Aci e Cattolica; delli quali recise le teste, e per le strade
trascinati i cadaveri furono abbruciati le membra, lo incendio delle
loro case, il saccheggio dei loro effetti e di altri molti distinti
personaggi; lo sprigionamento dei rei detenuti nelle carceri e nella
galea; l’uccisione di molti onesti individui”. Nel quadro romantico
dell’articolo manca anche la notizia di quel direttore di Polizia
(Giampietro) massacrato nel gennaio del 1821 a casa sua con 42
coltellate e nonostante la presenza della moglie e dei 9 figli che,
aggrappati alle ginocchia del padre, chiedevano pietà ai suoi carnefici.
E mancano pure le notizie relative al mezzo milione di ducati mancanti
nel Banco, al caos e all’anarchia di quei giorni o agli 80 milioni di
ducati complessivi costati al Regno, alle fughe tutt’altro che eroiche
degli ufficiali e ai loro continui dissidi o alla totale e sistematica
lontananza dal popolo che non volle in alcun modo assecondare quelli che
Mascilli definisce, nonostante tutto e nonostante molte evidenze, “i
sogni di una generazione”. Il Mattino accetterà di aprire un dibattito
su questi temi evitando di rafforzare l’idea di un giornale napoletano
ma poco legato a tutta la storia di Napoli? “Ah saperlo”, diceva il
compianto amico (e giornalista del Mattino) Riccardo Pazzaglia… Prof. Gennaro De Crescenzo
|