IL “DOLCISSIMO” NAPOLEONE? NO, GRAZIE… In questi giorni in tanti celebrano Napoleone in Francia, com’è normale che sia tra tante polemiche. In tanti, tra convegni e mostre, lo celebrano in Italia ma senza polemiche e forse non è del tutto “normale”. La tesi prevalente è quella che vede
in quella invasione
l’inizio del Risorgimento, attraverso un filo rosso che unisce
Napoleone, molte idee e personaggi legati alla massoneria (suo cognato
Murat in testa), i giacobini filo-francesi locali, i moti rivoluzionari e
il 1860… Quello
di Napoleone, però, fu solo un episodio “dell’imperialismo francese” in
Italia: lo dice lo storico americano John Davis, tutt’altro che
neoborbonico e aggiunge anche che “il Sud pagò un conto salatissimo alla
causa imperiale in termini di tributi finanziari e vite umane” e le
famose e celebratissime riforme “partirono dal basso e dalla società
napoletana” e non da quei francesi “esperti di annessioni”. Del resto,
non si vede perché celebrare una riforma se quella riforma costò oltre
60.000 vittime nel 1799 e oltre 50.000 vittime nel 1806-1815, come
riportano le cronache dei generali francesi. Vittime ignorate o spesso
disprezzate quei “lazzari” o quel popolo “incapace di capire la libertà”
in una sorta di “razzismo” che trova la sua continuità a volte nel
disprezzo verso chi oggi le ricorda o anche nella stessa politica con il
suo distacco verso gli strati più deboli in particolare del Sud.
Nonostante tutto questo, però, Napoleone viene ricordato in maniera
quasi romantica dagli storici italiani. Un esempio su tutti la biografia
pubblicata dal prof. Luigi Mascilli Migliorini in questi giorni sulla
base di alcune memorie del tempo. Si parla degli ultimi giorni
dell’imperatore, “giorni assai stancanti […], vestiva un semplice gilet
di flanella [...], richiedeva un caffè, lo faceva con dolcezza e aveva
la ‘docilità di un bambino’ […], le labbra leggermente contratte e tutto
l’insieme della sua figura comunicavano dolci impressioni […]. Gli
orologi furono fermati: aveva arrestato il tempo o lo aveva, piuttosto,
reso eterno?”. Sono parole belle e commoventi ma se qualcuno di noi
avesse descritto in questo modo gli ultimi istanti magari di Ferdinando
II o Francesco II di Borbone, con buona probabilità gli accademici di
turno non ci avrebbero definito “neoborbonici”?
Ironie a parte, ripensando a quella descrizione dove abbondano
sentimenti quasi di affetto e ammirazione e l’aggettivo “dolce” con i
suoi derivati, io non riesco a dimenticare le cronache relative ad uno
dei tanti massacri operati dai napoleonidi nel Regno di Napoli e in
questo caso a Lauria (non meno di mille morti seppelliti in quella che
ancora oggi si chiama “L’onda dei morti” senza risparmiare donne, malati
e bambini sgozzati nelle caverne fuori città): “La baionetta ovviamente
fa il suo mestiere: né grazia né pietà… Non resterà fabbricato in piedi
e bivaccheremo tutti, maresciallo e soldati, sulle pietre insanguinate
di una città che è diventata una fornace ardente… tutto è stato
distrutto dalle fiamme, il saccheggio fu generale, generale il pianto,
la desolazione e il lutto”. Napoleone? Niente da celebrare. Almeno a
Napoli e nell’ex Regno di Napoli. Gennaro De Crescenzo
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